La cancel culture ha utilizzato l’endiadi angelismo-criminalizzazione: in ciò, fra l’altro, aiutata da mode accademiche – si pensi agli studi postcoloniali – anche riguardo al tema del colonialismo e, in particolare, della scoperta e conquista del continente americano, con Colombo derubricato, non a caso, a primo «criminale» della storia americana.
Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di aprile 2022
In principio fu Colombo
In realtà, però, già da decenni esisteva una letteratura pretesamente scientifica, tutta costruita, appunto, sull’endiadi prima ricordata. Ne è esempio paradigmatico il testo di David Stannard, Olocausto americano, uscito in edizione originale nel 1992 e pubblicato in Italia dalla Bollati Boringhieri nel 2001 (da cui cito). La tesi di fondo del libro, enunciata già nel prologo, è che «lo sterminio degli indiani delle Americhe è stato di gran lunga il più grave genocidio nella storia del mondo» (p. 11).
Ma attenzione: secondo Stannard, in pratica già «dal primo contatto umano tra l’Europa e le Americhe, gli attacchi dei microbi pestilenziali e il genocidio deliberato devastarono le tribù dei nativi americani» (p. 14). Detto in breve, Colombo viene trasformato in un genocida sin da quando sbarca sul suolo americano. A queste enormità l’autore fa seguire, nella prima parte del libro intitolata Prima di Colombo, una descrizione delle Americhe idilliaca, genesiaca, da età dell’oro. Quelle precolombiane erano tutte, senza eccezioni, popolazioni felici, che godevano di una «straordinaria salute» (p. 93); pacifiche, ricche e tecnologicamente avanzate, capaci di edificare grandiose civiltà come quella dei Maya, sin dal prologo definiti dall’autore – forse con un minimo di esagerazione – come i «fondatori della civiltà più splendida nella storia dell’uomo» (p. 15).
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Sarebbe pertanto fatica sprecata cercare in queste pagine edificanti qualche accenno – ma sono solo tre esempi fra i tanti – ai mattatoi sacrificali aztechi e ai meno conosciuti, ma non per questo meno efferati, sacrifici umani Maya; oppure alla sanguinosa guerra civile scoppiata nell’impero Inca prima dell’arrivo di Pizarro, o alla bellicosa confederazione irochese. Non sorprende pertanto che Giuseppe Patisso nel suo L’impero del Giglio: i francesi in America del Nord 1534-1763 (Carocci, 2018, p. 173) non solo liquidi come un mito l’idea del «buon selvaggio» pacifico, ospitale e accondiscendente, ma affermi, senza tanti giri di parole, che «la violenza era una costante delle società amerindie».
Chi offre di più?
In breve, quella di Stannard è una visione assolutamente angelicata dell’America precolombiana, alla quale viene contrapposta una seconda parte dell’opera, intitolata Pestilenze e genocidio, il cui incipit è il seguente: «La Spagna che Cristoforo Colombo e il suo equipaggio lasciarono poco prima dell’alba del 3 agosto 1492, quando salparono da Palos verso l’Atlantico, era una terra violenta e squallida, un luogo di tradimento e intolleranza. Da questo punto di vista la Spagna non si distingueva dal resto dell’Europa» (p. 115). In poche parole, è l’intero continente europeo ad essere criminalizzato, ridotto, com’è, a sentina di tutti i mali.
Per finire questa breve ricognizione del testo di Stannard, non a caso riedito dalla Bollati Boringhieri nel 2021 in palese omaggio agli idoli del presente, lo «studioso» americano, per rendere il quadro del presunto sterminio se possibile ancor più fosco e tragico, arriva addirittura a considerare realistica la cifra complessiva di 145 milioni di abitanti nell’intero emisfero americano al momento del contatto (p. 33), laddove, giusto per fare le debite proporzioni, il demografo Massimo Livi Bacci, nella sua opera pur intitolata Conquista: la distruzione degli indios americani (il Mulino, 2005, p. 16), ritiene veridica una cifra totale vicina ai 30 milioni d’individui, concentrati «per i due terzi nel Mesoamerica e nella regione andina», con l’America del nord popolata, all’arrivo di Colombo, da circa 3,8 milioni di nativi (Appendice, tabella 1).
Non parliamo di genocidio
Ora, sull’argomento aggiungerò qualcosa in relazione appunto al contesto nordamericano, che è quello che conosco, partendo dalle tesi esposte dallo storico Guenter Lewy in uno scritto del 2004, facilmente reperibile in rete, intitolato Were american indians the victims of genocide? Citando, tra gli altri, proprio Stannard, Lewy considera, al contrario, problematica e controversa ogni lettura «genocidaria» della storia dei nativi nordamericani, allorché scrive: «Che gli indiani abbiano sofferto orribilmente è indubitabile. Ma che la loro sofferenza equivalga a un “olocausto” o a un genocidio è tutt’altra questione».
Innanzitutto, secondo Lewy, tra il 75 e il 90% degli indiani nordamericani è morto perché colpito da tutta una serie di agenti patogeni, in primis il vaiolo, importati nel Nuovo Mondo dagli europei. Ma tutto ciò non è stato il frutto di uno sterminio intenzionale e sistematico. Piuttosto, come scrive Lewy, riassumendo la questione, «i coloni europei sono arrivati nel Nuovo Mondo per un insieme di motivi, ma il pensiero di infettare gli indiani con dei patogeni letali non era uno di essi. Per quanto riguarda l’accusa che il governo americano dovrebbe essere ritenuto responsabile per il disastro demografico che ha colpito la popolazione degli indiani d’America, questa non è supportata da prove o validi argomenti. Gli Stati Uniti non hanno combattuto una guerra biologica contro gli indiani, né il grande numero di morti dovuto alle malattie può essere considerato il risultato di un piano genocida». Per cui, in definitiva, per Lewy, «il triste destino degli indiani d’America non rappresenta un crimine ma una tragedia scaturita dall’inconciliabile collisione di culture e valori».
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Adesso, proprio discutendo le tesi di Lewy, Aram Mattioli, nel suo Mondi perduti: una storia dei nativi nordamericani 1700-1910 (Einaudi, 2019, pp. 9-10), pur accusando lo storico americano di minimizzare oltremisura il problema, comunque riconosce l’effettiva inconsistenza di un disegno genocida: cosa, fra l’altro, evidente, a meno che non si voglia postulare l’esistenza di uno sterminio programmaticamente portato avanti lungo tre secoli da coloni, amministrazione coloniale inglese e governo americano. In effetti, l’analisi di Lewy risulta largamente insufficiente, soprattutto quando…
4 comments
Leggere un articolo del genere su PN fa veramente capire che ormai le idee più deleterie dell’atlantismo di “destra” si sono impossessate anche di questa testata, che invece dovrebbe portare avanti discorsi sulla difesa delle identità , anche e soprattutto quelle premoderne, anche e soprattutto quelle legate a popoli fieri e guerrieri come furono molti fra i nativi americani… Non c’entra nulla la “cancel culture” o altre sciocchezze di cui vi occupate ultimamente, il fatto che dei mentecatti liberals oggi fra le tante cavolate contestino magari una cosa esatta non deve farci per forza difendere i reietti europei che all’epoca preso possesso delle terre nord-americane, la Mia e la Nostra Destra Radicale è sempre stata dalla parte dei “Pellerossa”, da molto prima che la cancel culture esistesse…
Facciamola più semplice.
Sopra il Messico si vedono nativi americani e meticci di bianchi e nativi americani? Pochissimi, anche a cercarli con cura.
Invece dal Messico alla Terra del Fuoco sono praticamente ovunque e in maggioranza. Ciò significa che nel nord america tra genocidio e confinamento in riserve la pulizia etnica c’è stata eccome, con buona pace dei minimizzatori dei crimini degli yankees. Et contra facta non valent argumenta. Game-set-match.
Scusa Evar mi era sfuggito.
Questa volta meriti un applauso e non è ironia.
Quindi nelle riserve, eufemismo che ricorda tanto i gulag e i lager i nativi americani ci sono andati volontariamente vero?
Magari se li sono pure costruiti apposta da soli.
Basta inguardabile ed insopportabile atlantismo.
E’ stata involontaria anche l’imposizione dell’unione europea da parte della CIA
http://bit.ly/2LkDgJ4
Ed è stata pure involontaria la creazione del primo stato islamico in Iran nel 1979 sempre per mano della CIA vero?
Non cerchiamo di giustificare l’ingiustificabile e pensiamo a liberare la Nostra Nazione.