Home » “Son giunchi che piegano le spade vendute”: Goffredo Mameli, l’amore e la morte

“Son giunchi che piegano le spade vendute”: Goffredo Mameli, l’amore e la morte

by Marco Battistini
0 commento

Roma, 6 lug – Muore giovane chi è caro agli dei. È vero, all’imborghesito italiano medio del ventunesimo secolo la massima di Menandro – ripresa successivamente da Giacomo Leopardi – può sembrare solamente una consolatoria cifra letteraria. Comprensibile, se si ignora del tutto quel nesso di civiltà che unisce ogni terra a un determinato popolo sotto la protezione di uno specifico firmamento. “Amore e morte”, si chiama così la poesia del letterato di Recanati che omaggia l’aforista greco. Amore e morte, potrebbe anche essere un sottotitolo all’esempio di Goffredo Mameli.

Goffredo Mameli, non solo il “Canto degli italiani”

Amore, forza generatrice per eccellenza. Forse illogica, ma tremendamente legata al reale, alla vita. Così come la morte, altra faccia di quest’ultima medaglia. Poco più che adolescente, Goffredo Mameli era già in grado di sognare l’Italia. Un mito disperatamente amato e sacrificato (da sacrum facere, ovvero reso sacro) con la propria morte.

Precoce talento letterario, nel ricordare il centenario del Balilla – ovvero la cacciata degli austriaci dalla sua Genova – espone pubblicamente il tricolore. Era il 1846, l’Italia ancora un’idea originaria e, allo stesso tempo, visionaria. Pensiero e azione, l’anno successivo mette su carta il canto degli italiani. È volontario nelle cinque giornate di Milano, qui conosce Mazzini. Tornato in Liguria si arruolerà nell’esercito di Garibaldi. Ancora nel capoluogo ligure scrive l’Inno militare, le cui note sono curate da un certo Verdi. Carne e sangue, lettere e musica.

Amore e morte

Segue l’eroe dei due mondi nella città eterna. Da dove, il 9 febbraio 1849, indirizza al fondatore della Giovine Italia un noto dispaccio: “Roma! Repubblica! Venite!”. Tra maggio e giugno si trova per tre volte a incrociare le armi con le colonne borboniche: Palestrina, Velletri e sul Gianicolo. Nel sanguinoso combattimento di Villa Corsini rimane fatalmente ferito a una gamba, probabilmente colpito all’arto sinistro da un colpo francese.

Lo squarcio in pochi giorni si trasforma in cancrena. L’amputazione è purtroppo seguita da un’infezione. Goffredo Mameli, ventidue anni non ancora compiuti, muore la mattina del 6 luglio “cantando, quasi conscio di sé, attendendo che gli passasse quell’accesso nervoso come lo chiamava” dopo un mese di agonia.

Una doppia preghiera agli dei

Ancora con Leopardi, in una lettera indirizzata a Fanny intorno nell’agosto 1833: “l’amore e la morte sono le sole cose belle che ha il mondo, le solissime degne di essere desiderate”. Personaggio fondamentale del Risorgimento italiano, Mameli rimane ovviamente famoso per l’inno nazionale. Ecco che alla luce della sua vita, la giovane morte assume un altissimo significato. Caro agli dei, ci mettiamo la mano sul fuoco, se è vero che chi canta prega due volte: “Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta”, quante volte l’abbiamo sentito, quanto altre interpretato.

Prime strofe più conosciute di un testo che andrebbe integralmente approfondito. “Son giunchi che piegano le spade vendute” recita uno degli ultimi versi. Pianta acquatica, religiosamente robusta rispetto alle avversità. Ovvero a chi allora si frapponeva alla sacra unità e alla storica missione della penisola italica. Amore e morte, per dirla con l’incisione presente all’interno del Mausoleo Ossario Garibaldino, dove Mameli oggi riposa: “restino perennemente scolpiti nei cuori i nomi di coloro che morirono combattendo per fare più bella e più grande la Patria”.

Marco Battistini

You may also like

Commenta

Redazione

Chi Siamo

Il Primato Nazionale plurisettimanale online indipendente;

Newsletter

Iscriviti alla newsletter



© Copyright 2023 Il Primato Nazionale – Tutti i diritti riservati