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Mameli ci fa urlare: “Evviva il canone!”

by Lorenzo Cafarchio
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Mameli

Roma, 15 feb –  Evviva il canone! No non il cannone, no non il cenone, viva il canone Rai. Non siamo smattati tutto d’un colpo. Non abbiamo ecceduto in bevute del martedì sera, abbiamo semplicemente visto lo sceneggiato, andato in onda su Rai 1, dedicato a Goffredo Mameli. “Mameli. Il ragazzo che sognò l’Italia” è il ritorno al servizio pubblico dopo le scempiaggini di Sanremo. All’indomani di cover, di televoto, di giornalisti che frignano per le minacce ricevute, di cantanti senza voce, di canzoni senza testi spunta sull’emittente di punta dello Stato questa piccola gemma. Quattro puntate, da circa un’ora l’una, dove la vera protagonista è l’Italia. Il tricolore voluto, bramato, sognato e issato sopra le nostre teste. Qualcuno dirà propaganda, altri diranno “e ma il Risorgimento”, altri ancora invocheranno Papa Re e Borboni, noi ci accontentiamo semplicemente del verde, bianco e rosso.

Mameli, non è una questione di trama o (esclusivamente) di qualità

La trama non serve, basta un libro di scuola – forse no, perché l’Ottocento è compresso e bistrattato tra le aule – per tornare al biennio 1847-1849. Sulle onde del ricordo dei moti genovesi del 1831 si espande la generazione dei Mameli e dei Bixio. Qui sulle note della tensione morale del ’48 nascono le parole del Canto degli italiani. Nasce sottoterra ed emerge per esplodere tra i vicoli di Genova. All’Oregina 30.000 patrioti lo fanno risuonare in quella marcia, tanto bistrattata, quanto assoluta. In quelle parole tanto semplici, ma che risuonano come monito ancora oggi. “Calpesti e derisi”, certamente nei secoli successivi alla caduta dell’Impero Romano, spersi nel tempo, ma con la religione di Patria che dal petto bussa in direzione della Storia, quella con la S maiuscola.

Ci voleva la gioventù, come sempre, per indicare la via. Per gettare i panni e creare il mito, quello riassunto tra Bolzano e Ragusa. C’è il tempo delle cinque giornate di Milano. C’è il tempo del giogo del padrone sulle terre di Dante e Machiavelli. C’è il tempo di forgiare l’immaginario. Perché è come una febbre solerte, pervade i corpi, ma peggio ancora per chi teneva sotto scacco l’Italia le anime. Mameli donerà la sua vita di ventenne alla Repubblica Romana, ovvero alla terra dei figli quella che sarà e diverrà tremendamente nostra dopo il 1861, dopo il 1870 e dopo il 1918.

Lo spirito giusto

Eccoli gli anticorpi per trovare l’identità perduta. Nei volti di imberbi attori che attraverso la loro arte fanno rivivere quello che siamo stati. C’è l’immagine di Giuseppe Mazzini e di Giuseppe Garibaldi. C’è l’immagine della loro lotta, dei loro dissidi e dei loro dissapori. Ma c’è l’Italia da fare e che si farà. Ora aspettiamo gli storici, i blogger, gli ideologi e gli intellettuali che inforcati i loro occhiali alla “Essi vivono” ci spiegheranno della massoneria, del perché e del percome avremmo dovuto scegliere Radetzky e dei finanziamenti stranieri. Però poi c’è la realtà. Quella fatta di corpi di italiani in potenza che hanno spezzato il fatalismo donando le ossa, i tendini, gli arti e il sangue alla Nazione. Dici troppo per chi cerca rifugio tra le disarmanti braccia della matria.

La retorica ha perso ogni ragion d’essere, lo stesso protagonista della serie davanti a Mattarella ha dichiarato di conoscere poco della favola di Mameli. Del sacrificio dietro al pensiero. Perché è tutto qua. L’inseguimento delle visioni, dei sogni e del volere. Spesso siamo abituati a dirci di averlo perso, ma non è così. Questo rumore scorre ancora tra le piazze e nei visi dei ragazzi che ci circondano. Basta guardare e là ci sono gli italiani veri, con buona pace del simpatico Ghali, che respirano la stessa aria delle dieci giornate di Brescia.

Quando il dubbio bussa alla nostra porta c’è un’unica speme, un’unica speranza, che ci avvolge. La bandiera di Dio e del popolo sulla quale hanno riversato i propri giuramenti millenni di nostri connazionali. Basta guardarci negli occhi, che sono quelli di Mameli e di Bixio, per ritrovare il senso ultimo della vita nostra: l’Italia. In questo quadro c’è una scena, del girato, da conservare. In un’osteria ligure si trovano decine di genovesi per discutere come muoversi e cosa fare. Mameli prende la parola e racconta di come finalmente sono spezzate le classi sociali e che quegli uomini e quelle donne sono un’unica classe, quella degli italiani. Aggiungere altro sarebbe superfluo. Ma una cosa ci sentiamo di dirla: Evviva il tricolore! Evviva l’Italia!

Lorenzo Cafarchio

 

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