Roma, 17 dic – Che il futurismo non sia morto di un lento morire, ma che sia ancora oggi problematico e quindi vivo, lo dimostrano le recenti polemiche e incomprensioni sorte intorno alla mostra ad esso dedicata presso la Galleria Nazionale di Roma. Ultima in ordine di tempo quella apparsa su Il Foglio contro Marinetti.
La tiritera del Foglio contro Marinetti
Qualche giorno fa Alfonso Berardinelli su Il Foglio ha fatto una lunga tiritera su Marinetti, definendolo di volta in un volta un “pessimo scrittore”, un “retore” e “uno degli inventori del fascismo”. Tra l’altro chiedendosi cosa sarebbe stato il fascismo senza Marinetti, evitando però di rispondere se non per dire che “senza lo stile futuristico, senza l’ideologia che conteneva, il fascismo non sarebbe stato ‘formalmente’ possibile, gli sarebbero mancati gestualità e carattere”. Infatti, l’articolo sembra un modo per scongiurare qualsiasi apprezzamento trasversale del futurismo, mettendo in guardia dai suoi rapporti con il fascismo e svalutandone – senza alcuna spiegazione – la componente artistica. Nel farlo ammette, però, quello stesso apprezzamento che vorrebbe negare: “L’avanguardia futurista è piaciuta molto e a lungo alla sinistra e alla sua cultura”. Salvo poi rimpicciolire tutto attribuendo ciò non ai contenuti e allo stile dei futuristi, ma al provincialismo del pubblico, compiaciuto “del fatto che anche noi, ‘provinciali’ e ‘periferici’ della modernità, avevamo avuto la nostra brava avanguardia fanatica del futuro, cioè di un’entità tutta da venire e perciò largamente irreale”. E citando gli altri due grandi anticipatori del fascismo, D’Annunzio e Gentile, usa il primo contro Marinetti: “Il grande esteta, eclettico e voracissimo assimilatore di tendenze artistiche postromantiche europee, non poteva digerire l’estremismo attivistico monocorde di un pessimo, elementare scrittore come Marinetti”. Ora, tra i due una certa rivalità vi fu, giocata però su sensibilità comuni. Prova ne sia come D’Annunzio, appunto da “assimilatore di tendenze artistiche”, assimilò pure lo stile parolibero nel suo Notturno (cosa di cui Marinetti fu felicissimo), e ancora la consonanza con i temi futuristi del volo e della macchina di un romanzo come Forse che sì forse che no. Tutto questo rimanendo solamente sul piano prettamente letterario.
“Il regno della Luce è prossimo”
Ma anche qui, cosa faccia di Marinetti un “pessimo scrittore” per Berardinelli è un mistero. Anche tra gli ammiratori del futurismo, si appiattisce troppo spesso Marinetti ai suoi manifesti e alle sue anticipazioni, insomma al suo ruolo di “retore”, tralasciando, forse per pigrizia, la grande letteratura di cui fu capace. Così facendo si rimane ancorati agli aspetti più esteriori e contingenti, senza riuscire ad andare a fondo. Stranamente non era così per i suoi contemporanei. Ad esempio, un autore, certamente non di formazione futurista, come Luigi Capuana ebbe modo di difendere Marinetti durante il processo per oltraggio al pudore intentato contro Mafarka il futurista. In quell’occasione riconobbe come alla base del libro vi fosse “il contrasto fra la brutalità degli istinti e la spiritualità dell’aspirazione verso una regione più umana, anzi divina”, per poi definirlo come “il poema, non il romanzo, della conquista del pieno possesso della libertà spirituale dell’individuo”. Ma per capire la grandezza del Marinetti scrittore, basterebbe leggerlo. Fortunatamente per noi la mostra sul futurismo sceglie di valorizzarne gli aspetti prettamente artistici e di trascurare quelli scandalistici. Così il filo d’Arianna è l’arte futurista come poetica della luce, come scomposizione e ricomposizione del mondo in un’ottica solare, mediterranea, aerea, sintetizzata proprio in una citazione marinettiana: “Il regno della Luce è prossimo. La luce trionferà. Con velocità, nella velocità, dalla velocità sprizzerà la luce. Veloluce! Veloluce!”.
Michele Iozzino