Los Angeles, 12 ago – Uno sgarbo che Hollywood non ha gradito, quella lettera firmata dall’attrice spagnola Penelope Cruz e dal marito e connazionale Javier Bardem insieme ad altri artisti iberici come il regista Pedro Almodovar, che chiedeva di fermare “l’orrore e il genocidio a Gaza”.
Il primo a reagire è stato l’attore Jon Voight (padre di Angelina Jolie e ora esponente del Tea Party dopo una gioventù liberal e kennediana), che ha affidato non a caso al portale Hollywood Reporter la sua indignazione per lo sgarbo dell’attrice accusandola di “ignorare la storia di Israele” e, ça va sans dire, di antisemitismo. Inoltre, ha fatto presente alla Cruz e a Bardem che è grazie a un paese democratico come gli Stati Uniti se “sono diventati famosi e hanno avuto la loro fortuna economica”.
A poco servirebbe ricordare a Voight, perso nel suo delirio americanocentrico, che quando nel 2001 Penelope Cruz ha girato il suo primo film statunitense di successo, Vanilla Sky, in Europa era già da almeno 4 anni (Tutto su mia madre di Almodovar è uscito nel 1997) una delle attrici più osannate del Continente.
In ogni caso, poco dopo la chiamata alle armi dell’interprete di Tornando a casa, è arrivata pronta l’adesione alla campagna anti Cruz della Hollywood che conta. Che si sia democratici (buona parte dello star system hollywoodiano) o repubblicani, pro o anti aborto, contro la caccia alla foche o in sostegno di essa, conta davvero poco quando in ballo c’è un argomento pesante e incontestabile come Israele. E dunque, come riportato ieri anche dall’Independent, la fatwa hollywoodiana è stata ufficialmente lanciata.
Amministratori delegati e produttori hannoinfatti fatto sapere che molto difficilmente Penelope Cruz e Javier Bardem lavoreranno di nuovo a Hollywood.
Nell’auto-definitasi patria della democrazia su certi argomenti non si scherza mai.
Cristiano Coccanari
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