Home » La vera storia (tutta italiana) del jeans: fustagno di Chieri, blu di Genova

La vera storia (tutta italiana) del jeans: fustagno di Chieri, blu di Genova

by Marco Battistini
0 commento
storia jeans

Roma, 30 lug – Dici jeans e pensi al sogno americano. Dai cercatori d’oro californiani nella seconda metà dell’ottocento fino alle prime icone mediatiche d’oltreoceano del secolo scorso (James Dean, Marlon Brando, Elvis Presley). L’immaginario collettivo associa l’indumento informale per eccellenza agli Stati Uniti: niente di più sbagliato. O meglio, invece di cadere in facili fascinazioni esterofile vale pena ricordare che molto spesso noi italiani lo abbiamo fatto prima – e talvolta meglio – degli altri. La parola blue jeans sarebbe infatti una derivazione dal francese bleu de Genes. Semplicemente, blu di Genova.

Storia del jeans: il fustagno indaco di Chieri

Torniamo quindi indietro nell’Europa mediterranea del XV secolo. Sul finire del medioevo due centri tessili – uno italiano, l’altro francese – sono conosciuti per un particolare fustagno indaco. Tale finitura cromatica è ottenuta grazie alla lavorazione delle foglie di guado, tipica pianta da blu. A contendersi questa determinata fetta di mercato sono la piemontese Chieri (dove la comunità catara potrebbe aver introdotto appunto l’Isatis tinctoria) e la gallica Nimes. Il termine “denim” – sovente confuso con jeans – indica infatti la provenienza da quest’ultima città, colonia romana fondata da legionari di ritorno dall’Egitto.

Dal porto della Superba

Oggi presente in ogni guardaroba, l’antica stoffa parte dalla Superba del cinquecento – sempre più frequentemente – alla volta di Londra. Dapprima utilizzato per fabbricare sacchi con cui coprire le merci imbarcate sulle navi, con il passare del tempo sono i marinai genovesi a farne robusti pantaloni e pratiche tute da lavoro. Buona qualità, resistenza e prezzo modico: il fustagno della repubblica marinara conquista l’Europa. Trecento anni prima del famoso brevetto americano di Levi Strauss.

Il jeans nell’arte antica

A conferma di quanto fosse diventato popolare questo tessuto, un aiuto (inaspettato) arriva dall’arte. Per esempio, il pittore rinascimentale Teramo Piaggio incomincia nel 1538 una serie di opere sacre raffiguranti la passione di Cristo. Utilizzando l’antenato del jeans, una stoffa indaco in fibra di lino. Invece l’artista anonimo conosciuto come “Maestro della tela di Genova” – probabilmente un discepolo di Caravaggio – rappresenta in ogni suo quadro una figura vestita in parte di fustagno blu. Sempre nel capoluogo ligure infine, nella galleria nazionale di Palazzo Spinola, sono presenti statuine del presepe create dallo scultore Pasquale Navone (1746 – 1791) raffiguranti pastori in abiti di jeans.

I pantaloni di Garibaldi

E dove può essere quindi custodito il più antico paio di jeans esistente, se non in Italia? Sia chiaro, non stiamo parlando di un pantalone qualunque. Bensì di un modello indossato da Giuseppe Garibaldi durante l’impresa dei mille. Reliquia nazionale donata dagli eredi al museo centrale del Risorgimento, nella più ampia cornice di quel marmoreo manifesto d’italianità che è l’Altare della Patria. Perché se i sogni (americani) con le prime luci dell’alba tendono a svanire, quanto vergato dai numi ci ricorda continuamente che l’unica nostra sfida deve essere quella alle stelle. Anche quando stiamo parlando di un “semplice” paio di jeans.

Marco Battistini

You may also like

Commenta

Redazione

Chi Siamo

Il Primato Nazionale plurisettimanale online indipendente;

Newsletter

Iscriviti alla newsletter



© Copyright 2023 Il Primato Nazionale – Tutti i diritti riservati