Roma, 15 dic – Ritorniamo, in maniera schematica, sul problema della tolleranza, su cui ci siamo già soffermato in un precedente scritto. Com’è risaputo, Karl Popper nella sua opera La società aperta e i suoi nemici ha elaborato il cosiddetto “paradosso della tolleranza”, in base al quale una illimitata tolleranza avrebbe come inevitabile conseguenza la scomparsa della tolleranza e la vittoria degli intolleranti. Da qui, la necessità di limitare l’esercizio della tolleranza ai soli tolleranti. Per cui, ecco il paradosso, per garantire la tolleranza è necessario non essere tolleranti.
Quale società aperta
Ma il vero paradosso è un altro, nel senso che una società che non tollera le voci dissenzienti, che non riconosce il diritto di criticarla, che non si apre alle ragioni dell’altro da sé, può dirsi davvero aperta? E quindi anche Popper, nel momento in cui invoca l’intolleranza per gli intolleranti non trasforma forse lui stesso, ecco il vero paradosso, in un nemico della società aperta? Sembra che questa conclusione sia indifferibile, perché delle due l’una: o la società aperta è davvero tale, e dunque inclusiva dell’altro da sé, capace di dare voce al diverso, alla differenza, oppure diviene uno dei tanti esempi di società chiusa, dove trionfa solo ed esclusivamente il medesimo, dove si condividono principi, valori e pratiche, senza lasciare spazio a un autentico pluralismo.
Perché di certo non è minimamente pensabile l’inaccettabile ipocrisia di una società che si spaccia per ‘aperta’, incassando per questo un cospicuo ‘premio’ in termini di legittimazione, senza esserlo per davvero. Di nuovo, delle due l’una: o una società è davvero aperta, assumendo su di sé i rischi che ciò potrebbe comportare, ma incassandone anche i lauti vantaggi in termini di consenso, legittimità e rendita di posizione, oppure smette di mostrarsi per quel che non è.
La contraddizione di Popper
Ma è proprio il rimando ai (presunti) rischi che è dirimente, ossia è in grado di mostrare l’intrinseca contraddittorietà dell’argomento di Popper. Infatti è del tutto infondata razionalmente la pretesa di stabilire un nesso necessario tra opinioni intolleranti e futura scomparsa della tolleranza, ovvero l’idea che si dia una inevitabile futura vittoria degli intolleranti qualora nell’oggi si dia spazio a opinioni ritenute intolleranti. Si tratta di una tesi infalsificabile, perché poggiante su un futuro per definizione inconoscibile e imprevedibile.
In altre parole, l’argomento contro gli intolleranti basato sul principio dell’autodifesa dell’ordine liberale è autocontraddittorio, dato che la minaccia alla società è in genere una questione di proiezioni, intrinsecamente contestabili a priori. E non solo, perché un effetto deleterio di tale argomento è quello di creare allarmismo, paure e ansie immotivate, perché basate appunto su proiezioni future del tutto inverificabili. Detto altrimenti, il ricorso spregiudicato all’argomento popperiano può sia causare concretissime svolte illiberali e repressive in nome di un futuro puramente ipotetico e congetturale, sia generare un clima d’incertezza e di paura che abili demagoghi potranno sfruttare appunto al fine di dar vita a un regime illiberale e intollerante.
Giovanni Damiano
12 comments
Chiaro. Come è chiaro che una società aperta è morente, come un sistema aperto in sociologia, come una cellula aperta in biologia, come una azienda aperta e come una famiglia aperta nella società. Più chiaro di così…, si muore.
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Occhio però a non buttar tutto via di Popper: che tra l’altro, a Soros gli sputò in faccia, quando quest’ultimo (suo “allievo”…) gli presentò la sua sballata teoria… Quindi non confondiamo la m3rda con la cioccolata…
E’ inutile che l’articolista si arrampichi sugli specchi nel vano tentativo di “confutare” proprio quello che sta invece enunciando, ossia il “paradosso” di Popper nella sua essenza immanente; esso è in realtà un falso paradosso, reso tale in via esclusivamente narrativa, per figurare agli stupidi le estreme conseguenze cui si andrebbe incontro se si ammettesse davvero quella sorta di concezione astratta della democrazia, che sarebbe, specie nella mente dei fascisti, un giocattolo per imbecilli, del tutto inerme e prestantesi ad ogni oltraggio, ove anche chi vi si opponga sia tutelato. Non è così. Non lo è mai stato. La democrazia è un regime politico vigente, a tutti gli effetti, che deve essere in grado di difendere se stesso dai propri nemici; la stessa formula di “società aperta” è chiarificante il concetto: società aperta significa antitesi rispetto ad ogni concezione “chiusa ed intollerante” dello Stato. E tant’è, niente di più. Se vogliamo magari cercare una interpretazione “autentica” (come si dice in campo giuridico), basterebbe interpretare, alla lettera, il parere del popolo ateniese (cioè quello che la democrazia l’ha “inventata”), come cristallizzato nel giuramento di fedeltà trasmesso a noi attraverso i secoli nell’opera (monca) di Andocide, ove i cittadini si impegnavano con questa formula: “Ucciderò con la parola, con l’opera, con il voto e con la mia stessa mano, se ne sarò capace, colui che cerchi di distruggere la democrazia degli Ateniesi” (cit. Andocide, “sui misteri”). Ecco, altro che buonismo.
In alternativa, se agli intolleranti (ovvero a coloro che rivendicano non la libertà di parola, bensì di insulto, di odio etnico, di intolleranza borghese, di soppressione delle idee di accoglienza pacifica e di coabitazione) venisse mai data piena agibilità, basterebbe ricordare che la Storia ci ha già indicato come esempi tombali, tra le tante nefandezze, Auschwitz, Belsen o Mauthausen,
“ coloro che rivendicano non la libertà di parola, bensì di insulto, di odio etnico, di intolleranza borghese, di soppressione delle idee di accoglienza pacifica e di coabitazione‘, ha descritto gli antifascisti del terzo millennio, del resto gli unici veri fascisti rimasti sono gli antifascisti del pd ed europeisti vari.
….si potrebbe, il tutto, delimitare nella frase: ” la mia libertà finisce dove inizia la tua e la tua libertà finisce dove inizia la mia…”
La democrazia ateniese era tra pari e non tra pari e paria… Paradossi di una democrazia…aristocratica.
Per il pigro, senza andare troppo ad est, o da altre parti (è lungo il viaggio, eh?!), ma le nefandezze di Pitesti non le ricordiamo?! Comodo e pigro fare sempre il partigiano…, “paradossalmente” di parte?! Il cancro puoi trovarlo su tutti i tessuti…, altro paradosso?! Ma va… A Trasibulo da un “servo” di Pausania!
Su questo argomento ha scritto un articolo insuperabile Pierluigi Battista sul corsera intitolato “la crociata dei tolleranti nessun libro al rogo,mai” cito – “mai un libro deve essere censurato. Mai un’opinione, anche la più disgustosa, deve essere sanzionata per legge e ridotta a reato. Mai l’ Arena della discussione libera, anche se aspra, dura, feroce come deve essere la competizione delle idee in una società aperta e non timorosa del conflitto, deve diventare affare di polizia e trasferirsi in un’aula di tribunale. Mai il potere democratico deve arrogarsi il diritto di fissare una frontiera tra il dicibile e l’indicibile, stabilire con un atto d’arbitrio ciò che è lecito dire e ciò che non lo è. Mai un giudice deve sostituirsi allo storico”. Ma non viviamo in una società aperta ma in una dittatura orwelliana dove chi detta le regole sono Fiano e i suoi simili. Esattamente come nei regimi comunisti dove chi dettava le regole non erano i vari Stalin Ceausescu Tito e compagnia ma i circoincisi che li manovravano.
Su Stalin tanto manovrabile, un georgiano “duro e puro”, non sarei tanto convinto. Era paranoico, ne eliminava tanti intorno e non guardavo troppo il c…o! Porfirio, non elevare Fiano che si monta la testa e poi vuole montarci tutti…!
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Avrà letto Popper, ma non l’ha letto bene.
Popper afferma semplicemente l’esistenza di un paradosso: con la Rivoluzione francese, l’Occidente – prima e ancora unica civiltà – ha realizzato la (imperfetta) società del dialogo, del confronto e della “tolleranza”, la “Società aperta”; ma questa società per esistere (e mantenersi), in certi casi deve essere in grado di esercitare anche il suo contrario, l’intolleranza.
Benchè la comunicazione ed i mezzi di comunicazione restino molto importanti nel pensiero di Popper, non c’è in lui nessuna intenzione di non tollerare “le voci dissenzienti” e le “ragioni dell’altro da se'”.Tutto il contrario.
Tutto si basa quindi su di un fraintendimento del concetto di “tolleranza”: la capacità di sopportare – senza danno – cose o persone potenzialmente dannose (Vocab. Treccani).
Definizione in cui è centrale l’elemento del “danno”.
E come sappiamo, ci sono danni limitati e riparabili e danni gravi e irreparabili: la distruzione di ingenti ricchezze, di importanti infrastrutture, il ferimento o la morte di persone, la soppressione delle libertà (in primis, di pensiero).
Nel primo caso possono rientrare tutte le azioni che senza uso della violenza, producono superficiali danni economici, psicologici, morali: dalla diffamazione, al pensiero sovversivo, alle stesse minacce. In queste situazioni vale ancora la tolleranza.
I danni del secondo caso sono il prodotto di una violenza concreta che la società non può ammettere e anzi, deve prevenire, pena la propria scomparsa.
Per fare un esempio, si pensi ai fondamentalisti religiosi, predicatori di certe Chiese americane o mullah islamisti; tutt’e due appartengono alla categoria degli assolutisti, degli intolleranti, con una differenza sostanziale: che i primi (con le singole debite eccezioni), non “passano ai fatti”, non fanno fuori gli infedeli nè si organizzano per farlo.
Quindi tolleranza per tutte le idee e intolleranza per i soggetti ed i fatti che materialmente impediscono o si organizzano per impedire l’ espressione e circolazione delle idee.
Nessuna ipocrisia; solo coerenza logica per un unico fine. la tolleranza e la sottolineatura di un paradosso (apparente).
A questa osservazione Popper aggiunge sul piano filosofico la considerazione dell’incoerenza logica e morale e della pericolosità di chi usa la libertà di espressione col fine di abolire le stesse basi del diritto che gli permette di parlare.
Infine vale la pena di ricordare che fra altri, negli anni ‘ ’90 e ’70, due grandi politologi contemporanei non proprio vicini a Popper, hanno ammesso l’esistenza del problema e implicitamente del “paradosso” di Popper. M. Walzer che ha ammesso la possibilità dell’esistenza nella società, di gruppi che “non imparano e non accettano la tolleranza” e J.Rawls che ha parlato di “sette intolleranti” e della necessità di “limitarne la libertà”.
Tolleranti con i tolleranti, intolleranti con gli intolleranti.
Quanta dialettica, quanta retorica: è nato prima l’ uovo o la gallina? Prima il tollerante o l’ intollerante? Il fondamentalista o l’ antifondamentalista? Andiamo avanti con l’ illuminismo e la ragione a ruota libera, verso il caos delle presunzioni… Oltre a spremere le meningi, c’è forse qualcosa di più importante nella vita… Il cuore, lo spirito…, che decidono cosa è intollerante o meno! Si fermano e contemplano solo davanti al mistero…, e a questo “capolinea”, con Popper non ci arriviamo! Imperfezione per imperfezione, mille volte meglio Voltaire…