Roma, 26 nov – Il 25 novembre del 1970 a Tokyo moriva Yukio Mishima, una leggenda della Tradizione nell’epoca del mondo moderno, capitalista e americanizzato. Proprio questi ultimi elementi sono stati i segni di un tempo regredito che danno modo al nostro di perire attraverso il seppuku (suicidio rituale) nella caserma Ichiagaya.
Il Giappone post bellico
In un Giappone post bellico, che oltre ad essere sconfitto insieme ai nazionalismi europei, nel corso della seconda guerra mondiale, è anche vittima di una costrizione fisiologica della resa dell’impero. Da qui, la constatazione dell’impatto che il risultato del progetto Manhattan del professore Oppenheimer, ordinato dal presidente Thruman, ha comportato per la nazione giapponese. Una evidente iattura per il senso di un sentimento nazionale e culturale, di cui essere giapponesi costituirebbe un punto di orgoglio per il soggetto appartenente ad una determinata discendenza di una casta guerriera.
Coi nuovi tempi “moderni” ne consegue un indebolimento reale, fisico, morale degli enti nella terra del Sol Levante e quindi, con il profilo perfetto del paese che può subire la colonizzazione capitalista del colosso delle industrie e dell’intrattenimento. Nel dopoguerra quindi assistiamo ad un Giappone ridicolizzato e piegato dalla pochezza della cultura occidentale americana. Il primo che se ne accorge e che trova riprovevole il vortice di sudditanza culturale dettato dagli States in cui è caduto il suo paese, è proprio il romanziere, drammaturgo, filosofo e marzialista Yukio Mishima.
Yukio Mishima e il concetto di morte
Mishima condanna questa conseguenza postbellica dei suoi conterranei rei di essere caduti in un sonno sistematico. Ma i contenuti della sua critica sono estremamente profondi e radicati nel ricordo di quello che veramente rappresentano i samurai. Guerrieri addestrati alla morte e al suo culto, non il prodotto di una pellicola cinematografica in stile western. Anzichè deserti aridi, saloon e pistole revolver vi sono tifoni, kimono e katana. È proprio nei confronti della morte che Mishima sviluppa ogni suo concetto, dalla scrittura come morte del silenzio e assenza di bellezza, all’ipertrofia che è vita e virtù rispetto all’immobilità del muscolo e quindi ridotto ad una singola potenza di quello che potrebbe essere se non un risultato di una presa di coscienza di se stessi, fino appunto al suo nazionalismo e la sua cultura originaria, ridotta ormai ad un feticcio culturale degli americani.
“Dobbiamo morire per restituire al Giappone il suo vero volto!”
La colonizzazione intellettuale
Mishima recrimina un estremo attaccamento alla vita del suo popolo. Popolo che è ormai soggetto ad una colonizzazione intellettuale oltre che militare e territoriale. Mishima muove un’accusa anche nei confronti dei giovani militanti all’interno del suo libro “Lezioni spirituali per giovani samurai”. Nella parte sulla politica evidenzia che il loro attaccamento morboso alla vita non permette loro un’azione e una lotta coerente. Lo slogan utilizzato è rivolto alla morte per un ideale o un’ideologia, e se non si muore per davvero non si potrà conseguire pienamente l’intento rivoluzionario. Mishima muore come un eroe del passato e della Tradizione, con la pratica del seppuku, insieme alla sua società degli scudi (Tatenokai).
E giacchè il Giappone aveva sotterrato la sua Tradizione, bollata come estrema e animalesca, il giorno stesso della morte e del tentato colpo di stato di Mishima, quest’ultimo viene anch’esso giudicato come un estremista ed un simbolo nocivo per il popolo giapponese. Condannato dal comune pensiero al limite di una damnatio memoriae e non solo per l’atto sentenziato come anacronisticamente ed universalmente sbagliato, Mishima viene additato anche per la sua apparenza egocentrica, estremamente carismatica. E per la sua dubbia e controversa natura bisessuale, che destava non troppi buoni sentimenti nel pensiero pudico del suo popolo.
Yukio Mishima: un lungo lavoro sull’individuo
Viene rivalutato in Occidente negli anni successivi e quindi ad avviso di molti può e deve essere messo affianco ai capostipiti delle speculazioni filosofiche del superuomo, o di un soggetto eccezionale fuori dalle concezioni tossiche di una società moderna che lo intrappola. Purtroppo molto mal compresa come figura dai gruppi di estrema destra, in molti possono asserire di averlo veramente compreso, mentre gli altri che credono di conoscerlo solo per la sua retorica nazionalista. In realtà si sottovaluta che prima dell’idea di nazione e di impero filogentiliana, per Mishima vi è un lungo lavoro sull’individuo. Sull’accentuazione della sua essenza, sulla pratica del silenzio e della bellezza con la forza del muscolo implicato in quello che Miyamoto Musashi chiamava “vuoto” e soprattutto sull’accettazione della morte.
Questo è fondamentale nel pensiero e nell’azione di Mishima, molto affine alla Teoria dell’Individuo Assoluto disegnata da Julius Evola. Dopo di che ne potrebbe conseguire un’idea di nazione e di estetica che non è minimamente funzionale senza praticità e messa in pratica della potenza di un io che ha base nei tessuti muscolari e nei movimenti della spada. Tutto questo è spiegato nel suo manuale sulla applicazione marziale, spirituale e individuale, ovvero “Sole e Acciaio” pubblicato nello stesso anno della sua morte. Il testamento perfetto che spiega persino il perché di un gesto talmente forte agli occhi non solo del Giappone ma del mondo intero.
Mario Claudio De Marco