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Axel Kicillof: un keynesiano antiliberista alla corte del peronismo

by Claudio Freschi
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kicillof argentina

Buenos Aires, 2 nov – La provincia di Buenos Aires contribuisce da sola al 35% del Prodotto interno lordo dell’intera Argentina, inoltre in questa zona è concentrato il 37% degli elettori di tutta la Nazione. Un territorio così importante e così strategico per il paese sudamericano sarà governato dal prossimo 10 dicembre 2019 da Axel Kicillof, il candidato peronista del Frente de Todos che ha sbaragliato la concorrenza del governatore uscente Maria Eugenia Vidal infliggendole una dura sconfitta nella tornata elettorale dello scorso 27 ottobre.

La sua vittoria si inserisce nel contesto del trionfo di Alberto Fernandez alle elezioni presidenziali, che nella stessa giornata ha sconfitto il presidente uscente neoliberista Mauricio Macri che ha pagato l’acuirsi della crisi economica in Argentina causata, secondo molti analisti, proprio dalle politiche di austerità introdotte da Macri.

Le prime parole di Kicillof dopo la vittoria sono state un duro atto di accusa al governo precedente: “Abbiamo assistito al fallimento delle politiche economiche e di governo neoliberiste”, ha detto, aggiungendo che “la situazione che dovremo affrontare oggi, dopo 4 anni di presidenza Macri e Vidal, è un calo del 9% del Pil pro capite, una disoccupazione che è passata dal 5.8% del 2015 all’attuale 10.6% ed un debito pubblico che è aumentato di oltre il 30%”

Ma vediamo di conoscere meglio questo economista così popolare in Argentina che in molti vedono come potenziale futuro presidente.

Kicillof il keynesiano

Nato a Buenos Aires nel 1971 il giovane Kicillof si laurea in Economia nella sua città, con una tesi intitolata “Genesi e struttura della Teoria generale di Lord Keynes” mentre si fa notare per il suo attivismo politico fondando l’associazione TNT Tontos pero no tanto (Stupidi ma non troppo) ed in seguito aderendo al movimento peronista La Campora, dove conosce Maximo Kirchner, il figlio del presidente Fernandez de Kirchner, di cui rimarrà buon amico.

Dopo il dottorato inizia la sua carriera in campo accademico diventando professore di microeconomia ed in seguito di macroeconomia e politica economica all’Università di Buenos Aires e continuando la sua attività di ricerca in diversi campi dell’economia. Curiosamente viene definito di volta in volta, visionario, marxista, ultraconservatore e rivoluzionario, in realtà lui si dichiara semplicemente un economista keynesiano che ama l’Argentina e il suo popolo.

Nel 2011 con l’inizio del secondo mandato alla presidenza di Cristina Fernandez de Kirchner inizia la carriera nel settore pubblico di Axel Kicillof che viene nominato segretario della politica economica e della pianificazione dello sviluppo.

La battaglia YPF–Repsol

Proprio come responsabile della politica economica Kicillof inizia a lavorare sulla compagnia energetica argentina YPF (Yacimientos Petrolíferos Fiscales) all’epoca controllata per il 51% dalla spagnola Repsol, per migliorarne la capacità produttiva e l’efficienza. Dopo una serie di incontri con il management spagnolo non andati a buon fine Kicillof dichiara che “l’atteggiamento dell’azienda non va nella direzione in cui il paese avrebbe bisogno, lo Stato richiede un piano di investimenti chiaro, tassativo e preciso per invertire la situazione attuale e costituire una riserva destinata a effettuare investimenti” ed aggiungendo che con le “politiche neoliberiste gli idrocarburi sono stati considerati meramente come merci, quando invece sono un elemento strategico fondamentale per lo sviluppo del nostro paese” sostenendo di fatto la necessità di nazionalizzare questa società di interesse strategico per la nazione.

Il 16 aprile 2012 la presidente Cristina Fernandez de Kirchner approva un disegno di legge che dichiara il raggiungimento dell’autoproduzione di idrocarburi come obiettivo primario della Repubblica Argentina e di conseguenza il 51% delle azioni YPF appartenenti a Repsol vengono dichiarate di pubblica utilità e soggette ad esproprio. Ed è proprio a Kicillof che viene affidato l’incarico di spiegare al popolo argentino i motivi che hanno portato a questa decisione, ratificata dal Parlamento a maggio 2012, che ovviamente non si tira indietro ed attacca duramente anche il leader spagnolo Mariano Rajoy: “È inspiegabile che il presidente spagnolo stia qualificando l’ideologia del governo argentino per il progetto di esproprio, quando il suo testo è chiaro sugli obiettivi e sul modo di raggiungerlo. Quello che succede è che quando l’atteggiamento di una società, come Repsol, si allontana così tanto dagli interessi del paese, viene prima chiesto gentilmente di cambiare, poi non così gentilmente, e infine diviene necessario agire”.

Per inciso sotto la gestione statale la società ha quadruplicato i pozzi di esplorazione rispetto alla media dei tre anni precedenti e ha aumentato la perforazione dei pozzi operativi da 290 all’anno, tra il 2009-11, a 384 nel 2012, con un aumento del 33%. Se si confronta il periodo giugno 2012 – maggio 2013 con l’anno immediatamente precedente, i pozzi esplorativi sono passati dal 21 al 31, una crescita del 48 percento e quelli di sfruttamento dal 363 al 478, il 32 percento in più.

Le politiche da ministro

Il 18 novembre 2013 viene nominato ministro dell’Economia e delle finanze dal presidente argentino Cristina Fernandez de Kirchner.  Il programma di Kicillof è chiaro fin da subito: un intervento maggiore dello Stato al fine di promuovere la redistribuzione della ricchezza nel Paese attraverso una politica volta a dare maggiore impulso alla produzione e alla domanda interna, e alla creazione di nuovi posti di lavoro.

L’impostazione keynesiana di Kicillof si mostra nei suoi programmi volti a generare effetti moltiplicatori sull’economia come Ahora 12, un progetto che prevede la possibilità di richiedere finanziamenti per l’acquisto di prodotti e servizi rigorosamente argentini in 12 rate senza interessi con delle speciali carte di credito. Una grande operazione a cui hanno aderito più di 150mila imprese argentine e che hanno portato a quasi 12 milioni di transazioni con un notevolissimo incremento delle vendite e dei consumi interni. O ancora la creazione della rete Compr.ar. ovvero un programma federale che si concentra sui piccoli produttori e le attività commerciali locali, al fine di aumentare la loro competitività nei confronti delle grandi catene di distribuzione. Con il programma Procre.ar si finanziano invece mutui ipotecari per la costruzione, l’ampliamento o il rinnovamento di case, nonché per l’acquisizione diretta di immobili costruiti dallo Stato, al fine di rispondere alle esigenze abitative degli argentini ma generando allo stesso tempo occupazione attraverso il lavoro diretto e indiretto.

La lotta ai fondi speculativi

A partire dal 2011 l’Argentina ha dovuto affrontare contenziosi con diversi fondi di investimento che nel 2001, nel mezzo della più profonda crisi economica della sua storia, avevano acquistato parte del debito pubblico estero a prezzi stracciati, con l’intenzione di far valere le loro ragioni nei tribunali internazionali ed ottenere il rimborso totale dei titoli in loro possesso. Durante i governi di Nestor Kirchner e Cristina Fernandez de Kirchner, rispettivamente nel 2005 e nel 2010, sono stati raggiunti degli accordi di ristrutturazione del debito argentino, dove venivano offerte nuove obbligazioni in cambio delle vecchie, con un taglio del valore nominale ed un pagamento dilazionato, accettati dal 92,4% degli obbligazionisti.

Tra quanti hanno rifiutato gli accordi una percentuale di circa l’1% era rappresentato da fondi speculativi che hanno intrapreso una battaglia legale per ottenere il pagamento del debito a valori largamente superiori a quanto gli altri creditori avevano ricevuto. Attraverso la controllata NML Capital, la Elliot Associates di Paul Singer nel 2011 decide di citare in giudizio l’Argentina al tribunale di New York ottenendo una sentenza favorevole che obbligava il paese sudamericano a pagare l’intero valore nominale delle obbligazioni acquistate durante il default del 2001. Sentenza poi confermata nel 2012 in appello che ordinava da un lato il pagamento dei 1.500 milioni di dollari rivendicati da Elliot ma allo stesso tempo congelava, in attesa di una risoluzione del conflitto, i 900 milioni di dollari che il governo argentino aveva depositato nella Bank of New York Mellon e alla Citibank Argentina per pagare gli interessi ai creditori che avevano aderito agli accordi precedenti.

Questo mancato pagamento ha indotto l’agenzia di rating Standard & Poor a dichiarare il 30 luglio 2014 che l’Argentina si trovava in uno stato di “selective default” provocando la risposta di Kicillof che da Ministro dell’Economia annuncia in una conferenza stampa che “l’Argentina ha pagato e vuole continuare a pagare a condizioni ragionevoli, in condizioni possibili, ma ci troviamo davanti ad una situazione in cui non ci viene permesso di pagare” ed aggiungendo “il default e la ristrutturazione del debito non sono un problema argentino ma un problema mondiale, il problema è il capitalismo mondiale, il sistema in cui viviamo. L’Argentina potrebbe essere solo la prima di una lunga serie di vittime di questo sistema”.

Da governatore di Buenos Aires a candidato presidente?

Dopo la fine del mandato presidenziale di Cristina Fernandez de Kirchner, Kicillof si è dedicato a visitare la provincia di Buenos Aires per preparare la sua candidatura a governatore annunciata poi a maggio 2019 e terminata con la vittoria alle elezioni del 27 ottobre.

Il neogovernatore ha affermato che le sue priorità saranno quelle di aumentare l’occupazione e di affrontare la rabbia dei cittadini: “Non è una questione di piani e obiettivi, se ci sono famiglie che non hanno da mangiare dobbiamo solamente fare il possibile per aiutarli”. Nonostante abbia definito il lavoro della governatrice uscente Maria Eugenia Vidal come “terribile”, è contro le conseguenze delle politiche neoliberiste dell’ormai ex presidente Macri che Kicillof si scaglia con forza: “Macri aveva promesso la rivoluzione della felicità all’inizio del suo mandato, mentre si è trasformata nella rivoluzione della tristezza – ha affermato l’ex ministro dell’Economia – al suo arrivo il ha trovato una economia in crescita, inflazione in calo ed un livello di debito al minimo storico, non vi erano grossi problemi ad affrontare i pagamenti dei debiti pregressi, avevano la possibilità di agire per il bene della Nazione ma non lo hanno fatto”. Il pacchetto di aiuti sotto forma di crediti per 56 miliardi di dollari da parte del Fondo Monetario Internazionale negoziato da Macri finisce sotto accusa.

Non usa mezzi termini Kicillof affermando che “è lo stesso FMI a decidere le politiche economiche e monetarie e non la nostra Banca Centrale” aggiungendo che “siamo pienamente consapevoli che il finanziamento estero è importante, ma non sono le nostre idee a spaventare gli investitori, bensì le pessime politiche portate avanti dal governo di Macri e i suoi devastanti risultati, questi sono i veri responsabili della poca credibilità argentina sui mercati finanziari”. Ad una domanda precisa riguardo alla possibilità di ristrutturare il debito con il Fmi o di rinegoziarne i termini, Kicillof ha risposto che è ancora troppo presto per decidere se sarà una misura da prendere in considerazione o meno.

Sembra proprio che questo giovane economista dai modi affabili così anticonformista e poco amante dell’etichetta, sia destinato ad una lunga carriera politica in cui la carica di governatore potrebbe essere considerata solo una tappa di avvicinamento a quella di Presidente in un futuro non troppo lontano.

Claudio Freschi

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