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Coronavirus: l’impatto sull’economia italiana, le possibili risposte e il nemico europeo

by Claudio Freschi
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Roma, 21 mar – L’Italia è, al momento, la nazione più colpita dall’emergenza sanitaria provocata dal coronavirus. I timori che questa tragedia si trasformi anche in una emergenza economica sono purtroppo molto fondati ed è per questo motivo che tutto il mondo ci osserva per capire quali saranno gli effetti sull’economia reale dell’epidemia di Covid-19.

Stiamo assistendo ad un poco edificante balletto da parte delle istituzioni europee, con Christine Lagarde e Ursula Von der Leyen che sembrano impegnate a giocare i ruoli di poliziotto cattivo e poliziotto buono come nelle peggiori pellicole hollywoodiane. Un giorno affossano i mercati finanziari e quello dopo tentano goffamente di porvi riparo.

Non facciamoci illusioni: la crisi sarà dura, sensibilmente più forte rispetto a quella del 2009. Molto ovviamente dipenderà dall’efficacia delle misure prese per contenere il contagio, ma possiamo già dire che il prodotto interno lordo del primo trimestre e verosimilmente del secondo subiranno contrazioni elevate.

Le conseguenze della crisi

Alcuni analisti arrivano a stimare la perdita del Pil italiano per il 2020 tra il 3 ed il 5%, numeri che mettono i brividi. Anche se la crisi sanitaria venisse contenuta in poche settimane, le conseguenze le sentiremo, noi più di altri, per diverso tempo.

Nel breve termine il turismo sarà probabilmente il settore più colpito: le compagnie aeree stanno cancellando i voli verso l’Italia, le prenotazioni alberghiere vengono annullate, e ci aspetta un contraccolpo per tutta una serie di servizi legati all’ospitalità, dai piccoli negozi ai ristoranti.

Anche l’industria potrebbe subire danni pesantissimi, non solo e non esclusivamente in via diretta. Le catene di produzione per molti beni sono lunghe e complesse, composte spesso da decine e a volte centinaia di piccole e medie imprese che forniscono parti e componenti per arrivare al prodotto finito. Ecco perché ad esempio la crisi del settore automobilistico andrà ad impattare su moltissime realtà tramite l’indotto.

La gravità della situazione sarà direttamente proporzionale alla durata dell’emergenza sanitaria e al tipo di risposta che saranno in grado di dare le singole nazioni, che dovrà necessariamente essere forte soprattutto dal punto di vista della politica fiscale.

Se nella crisi partita nel 2008 il problema era di liquidità, ed è stato affrontato e parzialmente risolto a colpi di quantitative easing, ovvero immissione di grandi quantità di denaro sul mercato, oggi siamo di fronte ad un problema completamente diverso, ovvero ad una crisi della domanda. Le banche possiedono liquidità in maniera sufficiente e sarebbero pronte a prestare denaro anche a costi bassissimi. Il problema è che nessuno o quasi vuole questi soldi: non si compra nulla, non si esce, non si viaggia ma soprattutto non si lavora. Le imprese di produzione hanno visto un calo drastico di ordinativi, i liberi professionisti sono impossibilitati a svolgere il loro lavoro, aumenta la disoccupazione e la sottoccupazione.  E’ difficile pensare che, in queste condizioni, ci sia la fila per accedere a nuovi finanziamenti finalizzati a nuovi investimenti.

I possibili rimedi

Da qui la necessità di interventi rapidi, decisi e sostanziosi. Spostare o rimandare le imposte, permettere ai cittadini di ritardare il pagamento di mutui o finanziamenti sono misure deboli e di dubbia efficacia, per uscire da questo circolo vizioso serviranno colossali programmi di spesa pubblica, non solo in Italia.

Sostegno diretto, anche attraverso erogazione di denaro, a cittadini e imprese, una sorta di helicopter money che serva a far ripartire gli acquisti. E ancora prestiti d’emergenza garantiti dallo Stato a favore delle piccole e medie imprese uniti a forti investimenti in attività produttive e opere pubbliche fino a spingersi, citando l’economista Federico Caffè, ad avere Stati prestatori di lavoro di ultima istanza, in grado cioè di creare occupazione.

Ma per fare questo occorrerà indebitarsi, emettere titoli di Stato che vadano a coprire il sostanzioso ma necessario deficit di bilancio prossimo venturo.

Il problema, per uno Stato come il nostro, sarà duplice. Da una parte i folli parametri del Fiscal Compact (sia pur momentaneamente sospeso) da rispettare, dall’altro non potendo stampare moneta e quindi garantire la restituzione del debito pubblico, vi è il forte e attualissimo rischio di essere considerati nazione inaffidabile e quindi costretti a pagare tassi di interesse molto alti. E senza l’intervento di una banca centrale ci troveremmo in balia dei mercati con lo spread in continuo rialzo ed un danno notevolissimo per le finanze pubbliche.

Una crisi economica potrà poi sicuramente portare ad una crisi del sistema bancario, è difficile pensare che vedendo drasticamente calare i loro profitti aziende e privati siano poi in grado di mantenere gli impegni presi in termini di mutui e finanziamenti, e questo non potrà che far aumentare la quota di crediti deteriorati in un sistema già particolarmente fragile da questo punto di vista. E l’Europa potrebbe costringere le banche ad effettuare nuovi aumenti di capitale che andrebbero ulteriormente a deprimere la capacità già molto limitata di sostenere le imprese italiane in un momento così difficile.

Coronavirus: l’Ue è parte del problema

Considerando che spesso noi italiani siamo visti dai commissari europei come un popolo di irresponsabili dediti all’ozio e allo spreco di risorse pubbliche, incapaci di lasciar fallire aziende seguendo la mera logica di mercato e improvvidamente ostinati a tutelare quel minimo di Stato sociale che ci è rimasto, le prospettive non appaiono particolarmente rosee.

Certo proprio in questi giorni la Bce ha deliberato un ulteriore aumento del Quantitative Easing, considerato da molti equivalente al “whatever it takes” pronunciato da Draghi, mirato soprattutto a tenere sotto controllo la speculazione sui titoli del debito pubblico italiani.

Ma attenzione: questi soldi non saranno una forma di beneficienza, non lo sono mai stati e ancora una volta prima o poi ci verrà presentato il conto. Tutti ci auguriamo di uscire presto da questa situazione drammatica, ma occorre chiederci a quale prezzo. La speranza è che la teoria ordoliberista finora dominante in Europa, che vorrebbe condizionare ogni intervento a favore degli Stati in difficoltà a pesantissime clausole di ellenica memoria comportanti immani sacrifici in termini di tagli alla spesa e privatizzazioni, sia definitivamente al tramonto. Sarebbe l’unico elemento positivo portato dall’infausto coronavirus.

Claudio Freschi

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1 commento

jenablindata 22 Marzo 2020 - 11:18

MINIBOT al portatore,ristretti alla sola circolazione interna…e con
tagli da 100 a 200 euro e tasso di interesse al 2% annuo.

emissione SUBITO,per ripianare le perdite del coronavirus,
poi emissione continua,a piccole dosi…a parziale pagamento di stipendi,pensioni ecc
dello stato,in modo da liberare risorse per ammortare tutto il debito pubblico estero:
ne abbiamo abbastanza,mdi essere sotto costante ricatto dei mercati e delle altre nazioni
e pure pagare…perchè ci rompano le scatole:
65 miliardi annui di interessi,DEVONO RESTARE IN ITALIA.
negli ultimi vent’anni hanno demolito metà della sanità e del nostro stato sociale,
per andar dietro agli imbecilli ordoliberisti della ue:

se i 1300 miliardi di euro che abbiamo pagato di interessi dello stesso periodo,fossero finiti in tasca
agli italiani
avrebbero creato ricchezza,lavoro,investimenti,risparmi,tasse…
QUI.

e siccome entro pochissimo sarebbero stati reinvestiti (e quindi avrebbero creato tasse e ricchezza)
oppure tassati come risparmio,sarebbe
stata una partita di giro a somma zero,per banche e stato italiano:
adesso non saremmop stati in questa situazione,e di certo
adesso NON dovremmo andare col cappello in mano a chiedere
che ci aiutino…
DAGLI STESSI USURAI CHE CI HANNO MESSO IN QUESTo SCHIFO,
CON LA COMPLICITA’ DEI NOSTRI POLITICI.

questa crisi cambierà molte cose…
e forse la più importante,costringerà noi italiani a renderci conto
che dobbiamo tutelare noi stessi,e
e smetterla di lasciare le briglie sciolte alla politica:
perchè tolte poche eccezioni NON FA I NOSTRI INTERESSI,ma quelli di
chi li paga di più.

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