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Referendum Grecia, ecco i lati oscuri

by Francesco Meneguzzo
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acropolisAtene, 06 lug – La valanga dei “No”, sebbene dissipi qualsiasi eventuale dubbio sulla regolarità del voto e sulla volontà del popolo greco – in se’ naturalmente rispettabilissima – non cancella affatto una serie di lati oscuri che circondano il “prima” e il “dopo” della consultazione.
Un evento di tale portata, almeno apparentemente, sarà probabilmente giudicato e chiarito dagli storici, tuttavia possiamo tentare almeno di evidenziare le forze in gioco che hanno portato fino a questo punto, che ci riguarda direttamente nell’immediato.
Inoltre, chi ci guadagna e chi ci perde col netto risultato greco, in questo che può essere considerato comunque un “gioco al ribasso”?
Nonostante che, come nelle inchieste poliziesche, non sempre gli eventi accaduti prima in senso cronologico siano necessariamente causa dei successivi, riassumendoli brutalmente:
26 giugno: a due giorni dalla scadenza del pagamento di una tranche da circa 1,7 miliardi di euro al Fondo monetario internazionale (Fmi), il governo greco annuncia il referendum.
26 giugno: lo stesso giorno, il Fmi prepara un rapporto di “analisi sulla sostenibilità del debito greco”, di cui è nota la circolazione immediata in tutte le cancellerie occidentali e probabilmente nei maggiori parlamenti, che tuttavia viene reso noto soltanto il giorno 1 luglio. Nel rapporto si conferma chiaramente che il debito greco non è sostenibile e che esso necessita di una pesante ristrutturazione che, secondo le condizioni future, potrà prevedere un periodo di ammortamento molto più lungo o perfino un taglio netto (haircut). In pratica, il Fmi riconosce la validità delle tesi greche, sconfessando il piano di salvataggio della stessa “Troika” ci cui è parte integrante insieme alla Banca centrale europea (Bce) e alla Commissione europea.

debt GDP ratios 2014 update piigs

Rapporto debito/Pil di Spagna, Portogallo e Italia


30 giugno: la Grecia annuncia che non rimborserà la rata dovuta al Fmi, cosa che puntualmente avviene.
30 giugno: il premier greco Alexis Tsipras spedisce alla “Troika” (Fmi stesso, Banca centrale europea, Commissione europea) una lettera con la quale sostanzialmente accetta il piano di salvataggio dei creditori, salvo emendamenti minori e soprattutto senza prevedere la ristrutturazione del debito sovrano, inoltre senza menzionare il referendum.
1-4 luglio: insieme alla diffusione del rapporto del Fmi e della lettera di Tsipras, le autorità europee annunciano che non tratteranno oltre con il governo ellenico, fino all’esito del referendum. Il primo ministro di Atene inizia a puntare tutte le sue carte sul rapporto Fmi, annunciando che il giorno dopo il referendum sarà trovato un accordo con i creditori internazionali.
1-4 luglio: nel silenzio di Washington, i media europei si scatenano contro l’ipotesi del “No”, insieme ai leader tedeschi e comunitari.
1-4 luglio: si fanno sempre più frequenti le voci da parte russa e cinese che invocano un aiuto alternativo alla Grecia, sia attraverso l’accordo sull’estensione del gasdotto russo-turco fino all’Europa attraverso il territorio ellenico e i Balcani, sia direttamente attraverso la nuova mega-banca a guida cinese (e russa) Aiib, probabilmente a fronte della contropartita degli scambi in divisa cinese (Yuan). Per non parlare della comunanza religiosa tra Grecia e Russia, cosa che dalle parti di Mosca appare tenuta in una certa considerazione.
Exposure to Grexit table

Esposizione finanziaria dei paesi dell’Eurozona al “Grexit”


5-6 luglio: Mentre i “No” piovono a valanga, sorprendentemente si dimette l’architetto dell’azzardo greco, il ministro delle finanze Yanis Varoufakis, apparentemente per favorire un accordo con la Troika, in quanto sgradito all’Eurogruppo (circolo dei ministri della finanze dell’eurozona).
Le domande sono quindi molte, forse troppe, e tentare una previsione appare quanto mai rischioso.
Perché il Fmi ha prodotto un’analisi tanto in contrasto con i suoi stessi interessi immediati, nonché contro quelli di tutti i creditori, europei in primo luogo, favorendo di fatto il noto esito della consultazione?
Perché Tsipras ha prodotto quella famosa “lettera” con cui accettava sostanzialmente il piano di salvataggio, pur avendo già annunciato il referendum?
Perché dagli Stati Uniti non si sono levate voci significative in un senso o nell’altro, pur assumendo che fosse ampiamente noto il fatto che, in caso di salvataggio alternativo della Grecia, questa sarebbe finita in mani russe e cinesi, aprendo un vulnus non soltanto nella moribonda Unione europea, ma anche nella Nato?
Perché Varoufakis si è dimesso all’indomani della vittoria al referendum?
Perché si continua a minimizzare il rischio di contagio almeno rispetto ai paesi simultaneamente più esposti e indebitati che, in caso di ristrutturazione del debito greco secondo le prescrizioni del Fmi, rischiano di perdere ciascuno molte decine di miliardi?
Se a queste domande non siamo in grado ancora di dare una risposta soddisfacente, l’ultimo punto è quello che ci riguarda più da vicino.
Nonostante la rassicurazioni di Renzi e Padoan, infatti, tra i paesi mediterranei dell’Europa, Grecia esclusa, l’Italia è quella con il maggiore rapporto tra debito e Pil, pari a 132,1% nel 2014, contro il 130,2% del Portogallo e il 97,7% della Spagna, e costantemente in crescita (era del 99,7% nel 2007), nonché con un carico enorme di sofferenze bancarie.
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Ipotesi di “effetto domino” dalla ristrutturazione del debito greco – è considerato “soltanto” l’impatto sul Fondo europeo di stabilità finanziaria (EFSF)


L’esposizione italiana al debito greco, inoltre, varia tra 24 e 62 miliardi di Euro, seconda solo a quella francese (tra 27 e 71 miliardi) e tedesca (tra 35 e 90 miliardi).
Secondo le parole di analisti americani: “Cosa succederebbe se all’Italia fosse improvvisamente richiesto un extra finanziamento [per la Grecia] di oltre 60 miliardi di euro? Qualsiasi apologeta dell’euro punta all’avanzo primario italiano, ma cosa può valere questo se il suo debito supera il 130% del Pil ed è in continua salita? I pagamenti per interessi su questo spaventoso debito sono tali che l’Italia deve sborsare oltre 75 miliardi di euro ogni anno appena per servire le passività già acquisite. Un avanzo primario è un concetto inutile in una situazione come quella in cui si trova l’Italia. Aggiungere altri 60 miliardi al bilancio italiano potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso”.
Quanto meno, un preoccupante spunto di riflessione.
Francesco Meneguzzo

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