Roma, 9 mag – Oggi prepariamoci ad essere inondati dalla retorica sulle mamme: è la loro festa. Le ricorrenze, con tutti i loro limiti, hanno anche il pregio di farci riflettere su alcuni problemi. Così scopriamo (o meglio ci ricordiamo) che oltre “una donna su due (53,3%) si licenzia perché non riesce a conciliare con il proprio lavoro la cura dei figli”. Questo è quanto emerge dall’analisi dell’Unione europea delle cooperative (Uecoop) su dati dell’Ispettorato nazionale del lavoro. Sono tante le ricerche dalle quali emerge il medesimo problema: le mamme hanno grosse difficoltà a lavorare. Non è una novità ma nell’ultimo anno le cose sono peggiorate.
Mamme sempre meno lavoratrici
Secondo l’Uecoop “la spesa per nido e babysitter, la carenza di posti negli asili, la cerchia di parenti che si restringe, l’incompatibilità degli orari e dei ritmi di lavoro con la cura della prole sono le motivazioni principali che hanno spinto oltre ventimila donne in un anno a lasciare il lavoro”.
Cifre allarmanti a cui si aggiunge anche il rapporto di Save the children. In questo caso l’ong si occupa dell’Italia e ci segnala che “delle 249mila donne che nel corso del 2020 hanno perso il lavoro, ben 96mila sono mamme con figli minori. Tra di loro, quattro su cinque hanno figli con meno di cinque anni. E sono proprio quelle mamme che a causa della necessità di seguire i bambini più piccoli, hanno dovuto rinunciare al lavoro o ne sono state espulse”. Quanto detto finora non dovrebbe sorprenderci, anche se è bene ricordare che il combinato disposto tra lockdown e smart working ha reso la vita di molte mamme un inferno.
Gli effetti del lockdown
La gestione dell’emergenza sanitaria è riuscita a chiuderci dentro le nostre case che, nella stragrande maggioranza dei casi, sono diventate anche luoghi di lavoro. In pratica, mentre un genitore cerca di concentrarsi per lavorare deve nello stesso tempo badare al figlio in cerca d’attenzione. Non è il massimo e non serve uno psicologo per dirlo. Cresce, infatti, l’uso di psicofarmaci, ed in particolar modo le madri stanno accusando il colpo. “La crisi sanitaria – sottolinea Antonella Inverno, responsabile politiche per l’infanzia di Save the Children – è diventata sociale, economica ed educativa”.
La dottoressa Inverno ne fa una questione di genere in chiave femminista: “Le mamme in Italia hanno pagato e continuano a pagare un tributo altissimo a queste emergenze. I bambini a casa, il crollo improvviso del welfare familiare (dovuto alla necessità di proteggere i nonni dal contagio), il carico domestico eccessivo e la sua scarsa condivisione con il partner, misure di supporto non molto efficaci, sono tutti fattori che hanno portato allo stravolgimento della loro vita lavorativa”. Senza sminuire il ruolo delle madri, questi problemi non si risolvono semplicemente mettendo l’aspirapolvere in mano ai mariti. Il problema è come attuare delle politiche efficaci a favore della famiglia o meglio della natalità.
I bonus non servono
Non usciremo, infatti dall’inverno demografico con il bonus baby sitter. La questione va affrontata ragionando sul lungo periodo. Facciamo un esempio per essere più chiari: le scuole d’infanzia.
Se un uomo e una donna (non ce ne voglia l’onorevole Zan) vogliono mettere al mondo dei figli devono sapere che dopo i primi mesi possono contare sugli asili nido. O meglio nessuno dei due deve rinunciare al proprio lavoro per restare a casa a cambiare il pannolino. I nonni non possono sostituire la scuola materna. Il ruolo degli anziani è ben più importante e non devono essere considerati un ripiego.
Tutto ciò funzionava e (pandemia permettendo) funziona abbastanza bene nel centro-nord. Al sud la situazione è tragica. È ovvio che la questione della tutela della maternità e dell’infanzia è troppo importante per lasciarla in mano alle regioni. Compito dello stato (cosa che è avvenuta in tempi tanto bistrattati) deve essere quello di affiancare papà e mamme nella crescita dei figli facendo in modo che le scuole d’infanzia tornino a funzionare su tutto il territorio nazionale. Certo non basterà questo per far salire il tasso di natalità, ma alcune misure economiche sono condizione necessaria ma non sufficiente.
La politica difficilmente può agire sullo spirito degli uomini ma alcuni provvedimenti possono contribuire alla rinascita (quantomeno demografica) di un popolo.
Salvatore Recupero
3 comments
Il tasso di natalità sano (sic), sale unicamente se si è nelle condizioni di lasciare unire i giovani, responsabilmente, ben prima delle usanze odierne. Lo insegna la storia.
Uno stipendio/lavoro a casa/terra deve risultare sufficiente per sostenere la famiglia nei momenti di magra. Lo insegna la storia.
I figli debbono poter crescere in seno alla famiglia, almeno sino ai sei anni di età e non essere subito, forzatamente, obbligati alla sola gestione afantastica di estranei a professionalità variabile. Non tutti possono permettersi la baby sitter di controllo. Lo insegna la storia.
Non si può avere tutto nella vita e neppure vivere nel compromesso continuo… Lo insegna la storia.
E così riflettendo si può andare avanti per capirne di più.
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