Roma, 31 lug – Gli Usa puntano all’egemonia nel settore dei semiconduttori. Questo non è un segreto. Così come non lo è il fatto che il loro principale avversario in questa battaglia sia la Cina. Nessuno quindi può stupirsi dell’approvazione del Chips and Science Act da parte del Senato americano con 64 voti a favore compresi 17 repubblicani.
Il nuovo provvedimento è un pacchetto da 280 miliardi di dollari con cui l’America intende sovvenzionare la propria industria di semiconduttori per slegarsi dalla dipendenza asiatica.
Ora andrà al Congresso: la speranza dei deputati è di approvarla rapidamente in modo da mandarla alla Casa Bianca – è necessaria la firma del presidente, perché entri in vigore – prima che ad agosto il Congresso interrompa i lavori per la pausa estiva.
L’iter del Chips and Science Act
Nonostante i numeri del Senato l’approvazione di questo pacchetto è stata tutt’altro che facile. L’iter legislativo è durato tre anni con numerosi interruzioni. La più importante è quella dello scorso anno quando, dopo che il Senato aveva dato il suo via libera, la proposta si era bloccata alla Camera a febbraio.
Per questo è sceso in campo direttamente Biden a caldeggiare la proposta di legge. Oggi Sleepy Joe è felice. Era una delle priorità dell’inquilino della Casa Bianca, fermo sostenitore della proposta che renderà “le catene di approvvigionamento americane più resilienti”. Il fine è quello di non dipendere “così tanto dai Paesi stranieri per le tecnologie cruciali di cui abbiamo bisogno” e per fornire gli Stati Uniti di un piano industriale a lungo termine, fino ad oggi assente.
Gli Stati Uniti sono al primo posto quanto alla progettazione dei semiconduttori (possiedono una quota del 65 per cento in questo segmento di mercato). Devono però affidarsi all’Asia, e in particolare a Taiwan, per la loro manifattura e per l’assemblaggio: è un rischio, perché il paese, oltre che distante, viene rivendicato dalla Cina come parte integrante del suo territorio.
Come verranno indirizzati gli aiuti di Stato
Ricostruito l’iter della proposta vediamo in cosa consiste. Con il Chips and Science Act verranno garantiti 52,7 miliardi di dollari in assistenza finanziaria diretta, che saranno indirizzati alla costruzione e l’ampliamento degli impianti di produzione dei semiconduttori (39 miliardi), alla promozione della ricerca e la formazione del personale addetto (11 miliardi), ma anche per velocizzare il processo di realizzazione dei materiali (2 miliardi).
A questi vanno aggiunti altri 24 miliardi di dollari in incentivi fiscali e un aumento della spesa federale (oltre 170 miliardi di dollari) per la ricerca scientifica nei prossimi cinque anni, con una particolare attenzione all’intelligenza artificiale. La patria del liberismo, come spesso accade, si serve degli aiuti di stato sia per ragioni endogene che esogene.
Gli aiuti e le big company dei chip
In una nota Biden ha spiegato che: “Poiché gli americani erano preoccupati per lo stato dell’economia e il costo della vita, il disegno di legge è una risposta: accelererà la produzione di semiconduttori in America, abbassando i prezzi di tutto, dalle auto alle lavastoviglie”. Gli Usa finora hanno rischiato molto. Secondo quanto riporta la Reuters se Washington avesse perso l’accesso ai semiconduttori di Taiwan, avrebbe visto crollare il proprio Pil di circa dieci punti percentuali, mandando in crisi interi settori come quello automobilistico.
Ora si cambia rotta con un provvedimento che vede lo stato federale in prima fila. I big dei semiconduttori potranno mettere le mani su un bel malloppo. Intel, Taiwan Semiconductor Manufacturing, GlobalFoundries, Micron Technology, Applied Materials già si leccano i baffi davanti a questa grande torta.
Le implicazioni geopolitiche
Il convitato di pietra in questo dibattito è Pechino. Anche se ancora manca l’approvazione del Congresso, dall’Ambasciata cinese negli Stati Uniti fanno trapelare tutto il loro disagio. Dalla nota si legge come Pechino “si oppone fermamente” al disegno di legge che rifletterebbe la “mentalità della guerra fredda e del gioco a somma zero”, in aperto contrasto “all’aspirazione comune delle persone in tutti settori, in Cina e negli Stati Uniti, a rafforzare gli scambi e la cooperazione”.
Dal punto di vista geopolitico questo provvedimento conferma che l’America, la Cina e molte delle altre maggiori economie mondiali stanno allora lavorando per “riportare a casa” (o nelle immediate vicinanze) la manifattura di microchip, in modo da assicurarsi la certezza degli approvvigionamenti ed evitare di dipendere da nazioni rette da governi ostili che potrebbero interrompere le forniture come atto di ricatto politico.
Make America great again
Da questo punto di vista si nota come Biden sta seguendo le impronte di Trump. E le linee di demarcazione tra repubblicani e democratici sono più labili. Basta ricordare ciò che mesi fa la speaker della Camera, la democratica Nancy Pelosi, commentando un disegno di legge sui fondi per la ricerca scientifica e la capacità manifatturiera, disse appunto che avrebbe permesso all’America di “avere la meglio su qualsiasi nazione”.
Nella stessa occasione il senatore repubblicano Todd Young dichiarò che “per superare, sovra-innovare e avere la meglio sulla Cina dobbiamo lavorare insieme e portare la lotta al Partito comunista cinese”. Come dire; negli Usa cambiano i presidenti ma la strategia egemonica rimane inalterata.
Salvatore Recupero
2 comments
Siamo già alla Cina… Usa(ta) e getta(ta)?! Nazioni monouso, brutta roba. Dio ce ne scampi.
[…] FONTE: https://www.ilprimatonazionale.it//economia/semiconduttori-washington-usa-gli-aiuti-di-stato-contro-l… […]