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“La stabilità è destabilizzante”: Hyman Minsky, il profeta della grande crisi

by Claudio Freschi
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hyman mynski

Roma, 15 dic – L’americano Hyman Minsky è stato un economista le cui teorie sono state quasi snobbate in vita, ma che ha ottenuto grandi consensi dopo la sua morte, avvenuta nel 1996. Nato nel 1919 e cresciuto durante la Grande Depressione, Minsky ha dedicato i suoi studi a cercare di spiegarne i motivi e soprattutto a cosa fare per prevenire crisi economiche di tale portata.

Figlio di due attivisti politici americani, la madre Dora Zakon sindacalista e il padre Sam Minsky militante del Partito Socialista Americano, iniziò anche lui a frequentare seppur con minor trasporto, gli ambienti del socialismo statunitense. Proprio una serie di incontri tenuti dall’economista polacco Oskar Lange sul tema “Socialismo e teoria economica” lo introdusse alla macroeconomia di John Maynard Keynes.

Inutile dire che lo studio di Keynes ebbe un ruolo fondamentale nella formazione di Minsky, che però venne influenzato non solo dalla sua opera principale “La Teoria generale dell’occupazione dell’interesse e della moneta”, ma anche e soprattutto da un’opera precedente “Il trattato delle probabilità” dove prevalevano gli aspetti filosofici e matematici ed in cui viene posto l’accento sull’incertezza che caratterizza il contesto decisionale degli agenti economici.

L’intuizione di Minsky

Si potrebbe sintetizzare l’idea principale di Hyman Minsky in poche e semplici parole: “La stabilità è destabilizzante”.

Generalmente gli studiosi di macroeconomia, anche quelli di scuola keynesiana, basavano i loro lavori sui “modelli di equilibrio” ovvero sull’idea che una economia di mercato sia sostanzialmente stabile. Questo non vuol dire sia immobile, bensì che cresca nel tempo in maniera costante. Crisi economiche o periodi di grande espansione saranno quindi causate da fattori esterni come ad esempio una crisi petrolifera che ne aumenti il prezzo, oppure una guerra o ancora la scoperta di invenzioni rivoluzionarie.

Minsky sosteneva al contrario che è il sistema stesso che a generare squilibri attraverso dinamiche interne. Nei momenti di stabilità economica gli agenti economici come banche, aziende e risparmiatori, tendono secondo Minsky a diventare troppo fiduciosi sul protrarsi del periodo favorevole, aumentando la loro predisposizione al rischio nella ricerca di profitti più sostanziosi.

Nella sua teoria nota come “Ipotesi di instabilità finanziaria” Minsky affermava che il sistema di prestiti e conseguenti richieste di finanziamento attraversava 3 fasi differenti:

  • La fase hedge, liberamente tradotta come fase di copertura
  • La fase speculativa
  • La fase Ponzi, che prende il nome da Charles Ponzi ideatore della truffa finanziaria dello schema piramidale

Nella prima fase, solitamente susseguente ad una crisi economica, sia chi presta denaro sia chi lo vuole in prestito è molto cauto. I finanziamenti vengono concessi seguendo criteri restrittivi e normalmente i debitori sono in grado di ripagare sia il capitale che gli interessi data l’esiguità delle somme richieste.

Nella seconda fase si assiste ad un aumento della fiducia da parte di chi presta denaro, che diventa più propenso a finanziare importi sempre più grandi e con minori garanzie. In questi casi si punta sulla capacità dei debitori di restituire gli interessi nel tempo, più che avere certezze sulla riscossione del capitale dovuto.

Nella terza fase la crisi economica è un lontano ricordo, le banche impiegano i loro denari prestandoli a imprese e privati che probabilmente non saranno in grado di restituire nemmeno gli interessi dovuti, basandosi sull’idea che i prezzi dei beni sottostanti continueranno a crescere e che quindi, in caso di insolvenza, potranno comunque avere il loro profitto dall’escussione del bene oggetto del finanziamento.

Il “momento di Minsky”

Per fare un esempio concreto su come funziona la “Fase Ponzi”, pensiamo di all’acquisto di un immobile tramite l’accensione di un mutuo ipotecario, ma non con l’idea di abitarlo bensì con l’esclusivo intento di realizzare un profitto dalla sua vendita in quanto assolutamente convinti che il valore dell’immobile continuerà a crescere nel tempo. In questo caso diventa ininfluente pagare le rate del mutuo in quanto se il prezzo della casa continuerà a salire, la banca potrà comunque venderla recuperare capitale e interessi e allo stesso tempo il privato otterrà un profitto dato dalla differenza tra il prezzo di vendita e la somma presa in prestito.

Il momento esatto in cui crolla questo effimero castello di carte è stato definito da un gestore di fondi americano, Paul McCulley, il “momento di Minsky”. Ovvero il momento in cui il prezzo dei beni sottostanti ai finanziamenti cessa di crescere, le banche realizzano che il loro debito non potrà essere pagato e i privati che non saranno in grado di far fronte agli impegni, chiunque ne abbia disponibilità immette i beni sul mercato per essere alienati causando un ulteriore crollo dei prezzi.

Appare evidente come la progressione introdotta da Minsky sia perfettamente applicabile alla crisi dei mutui subprime iniziata nell’agosto del 2007. La fortissima domanda di immobili è stata allo stesso tempo causa ed effetto dello sviluppo di nuovi strumenti derivati a leva che permettevano alle banche di concedere ancora più credito. Certamente aumentavano i rischi, ma allo stesso tempo una maggiore disponibilità di credito stimolava ulteriormente la crescita dei prezzi delle case, fomentando la bolla speculativa.  Allo scoppio della bolla si è tornati violentemente alla prima fase con un accesso al credito molto più restrittivo.

L’intervento dello Stato

Nel suo libro del 1982 “Can it happen again?”, letteralmente “Può succedere di nuovo?”, l’economista profeticamente annunciava che ove siano messe in atto politiche economiche iperliberiste dove lo Stato viene relegato a ruolo di comparsa, crisi paragonabili a quelle del 1929 sono assolutamente probabili.

Per Minsky il sistema finanziario oscilla costantemente tra forza e fragilità e queste oscillazioni che causano crisi e ripartenze sono parte integrante della cosiddetta economia di mercato. Al fine di eliminarle o quanto meno di limitarne l’ampiezza è assolutamente necessario l’intervento dello Stato. In particolare l’economista si riferisce a due tipologie di intervento pubblico. Il primo e più immediato è quello delle banche centrali che devono intervenire come prestatori di ultima istanza, immettendo nel sistema dosi massicce di liquidità. Il secondo, imprescindibile per invertire l’andamento del ciclo economico, è quello di incrementare la spesa pubblica aumentando la domanda interna e le spese per investimenti.

Minsky è consapevole che l’intervento pubblico può avere delle conseguenze negative, soprattutto per la ciclicità del suo modello. Nel corso del ciclo successivo infatti tutti gli agenti economici saranno indotti a valutare i loro margini di sicurezza e quindi di rischio, tenendo conto del possibile intervento dello Stato avvicinando di fatto la prossima crisi e rendendo i cicli sempre più brevi. Per questo motivo sostiene che non esista una regolamentazione pubblica perfetta. Compito dello Stato sarà quindi quello di adottare un programma di riforme che vadano ad impedire la deflazione da debito, ovvero la situazione in cui la diminuzione del valore delle garanzie collaterali fa aumentare il livello di indebitamento, e di semplificare il sistema finanziario.

Sono in molti oggi a sostenere che negli anni ‘80 Hyman Minsky avrebbe meritato il Premio Nobel per l’economia con la sua “Ipotesi di instabilità finanziaria”, ma all’epoca il mondo economico era troppo orientato verso le teorie classiche e liberiste, e Minksy morì nell’ottobre del 1996 tristemente inascoltato.

Claudio Freschi

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3 comments

Fabio Crociato 15 Dicembre 2019 - 1:40

Argomento che necessiterebbe di altro spazio e tempo di un commento!
Dissento comunque: la stabilità non è destabilizzante semplicemente perché non esiste mai.
E da qui nasce la nostra battaglia quotidiana continua per stare in equilibrio…
Sempre parlando in termini solo materialistici, la deflazione da debito è da decenni coperta con l’ inflazione mascherata (quantità e qualità dei prodotti calati e venduti a prezzo uguale o addirittura superiore agli indici ufficiali inflattivi), complice lo Stato non propriamente amico.
Circa gli immobili, solo degli illusi possono pensare che il loro valore aumenti o si mantenga. Il deterioramento è intuibile anche da un qualsiasi piano di ammortamento… L’ unica cosa che vale sempre più (in specie con l’ aumento della popolazione), è la proprietà terriera, perché il suolo del pianeta terra non è espandibile. Ecco perché p.es. i sudisti americani sono stati debellati ( i negri non c’entravano un bel niente), hanno massacrato i zaristi e i Benetton sono proprietari di una quantità tale di ettari in Argentina, con i quali potrebbero tranquillamente creare uno Stato nello Stato.
Invece sulla ciclicità della finanza speculativa, non certamente etica, da “abbocca e ti mangio”, non si discute.
Qui è il capitalismo in toto che va rivisto (continuamente e in modo dinamico), e amputato dalle parti e dalle applicazioni tossiche…!!
Perdonate la brevità, è uno spunto di riflessione per aumentare i ns. antidoti alle prese per il c..o, o comunque a ragionamenti troppo contingenti e temporali.

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Jos 15 Dicembre 2019 - 9:21

..”secondo, imprescindibile per invertire l’andamento del ciclo economico, è quello di incrementare la spesa pubblica aumentando la domanda interna e le spese per investimenti.”..sopratutto per impedire una possibile inflazione…

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