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Sull’Afghanistan veglia il fantasma di Massoud

by Franco Nerozzi
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I nuovi padroni dell’Afghanistan, insediati a Kabul alla metà dello scorso mese, non dovranno vedersela soltanto con le diplomazie di mezzo mondo, impegnate a intavolare trattative con i leader talebani per ottenere promesse di una stabilità che resta condizione indispensabile per il lancio o il proseguimento di grandi progetti economici. Non dovranno soltanto mostrare un volto più moderato rispetto a quello arcigno e intransigente del mullah Omar, il religioso che li guidò alla prima conquista di Kabul nel 1996. Il loro cammino verso un completo controllo del Paese è destinato a subire la minaccia di un uomo morto esattamente 20 anni fa, il cui spirito è sempre più presente nel cuore della popolazione afghana.

Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di settembre 2021

Quando Ahmad Shah Massoud venne assassinato il 9 settembre del 2001, due giorni prima dell’attacco alle Torri gemelle di New York, buona parte di quel popolo si sentì perduto. Era venuto a mancare l’unico guerriero ancora in grado di tenere testa alla spinta delle truppe del mullah Omar. Controllando con i suoi mujaheddin – i veterani della guerra contro l’Armata rossa (1979-1989) – diverse aree del Nord, compresa l’imprendibile regione del Panjshir in cui era nato, Massoud rappresentava l’ultima speranza per un sogno di riconquista del Paese da parte delle forze tradizionali.

I folli di Dio

I talebani, infatti, erroneamente percepiti dalla gran parte dell’opinione pubblica internazionale soltanto come una componente integralista dell’islam afghano, costituivano di fatto una forza di conquista controllata dai servizi segreti del vicino Pakistan, da sempre interessato alla destabilizzazione dell’Afghanistan. Ispirati dal wahabismo di origine saudita, risultavano estranei ai costumi tradizionali del Paese, in cui convivevano religioni diverse, e in cui non era difficile trovare ancora fedeli di riti zoroastriani. La rigidità del wahabismo venne però abilmente coniugata con il Pashtunwalì, il codice delle genti Pashtun (gruppo maggioritario in Pakistan e nell’Afghanistan del Sud) consentendo ai «folli di Dio» di penetrare il tessuto rurale del Paese.

Ma le forze patriottiche, quelle che avevano resistito al tentativo di conquista da parte dell’Unione Sovietica, vedevano nei talebani un nuovo esercito di occupazione manovrato dall’esterno. E avevano ragione. Nel 1998, nel pieno della guerra tra Massoud e il mullah Omar, riuscii a raggiungere la città assediata di Taloqan, in cui il comandante resisteva all’accerchiamento di diverse migliaia di talebani. Andai ad incontrare dei prigionieri che i mujaheddin di Massoud avevano catturato durante un contrattacco. Il 90 per cento di essi aveva documenti pachistani, e arrivava direttamente dalle scuole coraniche di quel Paese. Parlai con alcuni di loro, e scoprii che tutti erano stati convinti ad andare a combattere in Afghanistan dai mullah, che avevano raccontato loro che i comunisti russi occupavano ancora quel territorio e opprimevano «i nostri fratelli nell’islam». Per quei disgraziati era una nuova guerra santa contro i «senza Dio», ma per il governo di Islamabad era un’ulteriore mossa del «grande gioco» di cui l’Afghanistan era stato teatro per secoli.

Ahmad Massoud e lo spirito della nazione

Massoud resistette fino a quel fatidico giorno di settembre in cui qualcuno decise di togliere di mezzo un uomo coraggiosissimo, libero, profondamente attaccato al proprio Paese, fedele alla corrente più spirituale dell’islam, il sufismo. Un leader illuminato che, di fronte all’ottusa rabbia iconoclasta che distrusse i magnifici Buddha della Valle di Bamyan, disse: «In Afghanistan ci sono ancora molti adoratori del dio Sole. Adesso cosa faranno i talebani? Pensano forse di poter spegnere il sole e gettare la terra nell’oscurità?».

Leggi anche: L’appello del figlio di Massoud al popolo afgano: “Unitevi a noi. Non cederemo mai”

Il 9 settembre moriva un uomo che, pur intrattenendo rapporti amichevoli con l’Occidente, non era disposto a ipotecare l’indipendenza dell’Afghanistan. Aveva già risposto no all’offerta americana di inviare truppe per contrastare l’avanzata talebana. Non voleva che alcun soldato straniero calpestasse la sua terra, soprattutto se proveniva da…

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