Roma, 4 apr – Quando i buoni difendono i cattivi i ruoli rischiano di confondersi. E’ il caso di Ahmed Chataev, stratega ceceno del terrorismo jihadista che nel 2010 la sempre attenta Amnesty International chiese all’Ucraina di non estradare in Russia perché “sarebbe stato sottoposto a torture e avrebbe affrontato un processo iniquo”. E’ quanto scrive la stessa organizzazione umanitaria in un comunicato riportato sul sito ufficiale datato 11 gennaio 2010. Presa di posizione rivendicata poi con orgoglio da Amnesty in un altro comunicato del primo luglio 2016, ovvero all’indomani dell’attentato all’aeroporto di Istanbul per il quale Chataev è tuttora considerato la probabile mente.
Ma chi è davvero questo signore tanto perseguitato e al contempo coccolato?
Si tratta di un reduce ceceno (perse un braccio combattendo i soldati russi nel Caucaso), poi legatosi all’Isis, che nel 2003 ricevette asilo in Austria ottenendo lo status di rifugiato. Nel 2008 Chataev insieme ad altri ceceni venne arrestato in Svezia dalla polizia scandinava che rinvenne nella sua auto kalashnikov e materiale esplosivo. Estradato in Ucraina e poi liberato, venne arrestato di nuovo mentre attraversava il confine tra Turchia e Bulgaria. Di nuovo rilasciato grazie sempre all’intervento delle organizzazioni umanitarie come Amnesty, si unì in Georgia ad un altro gruppo jihadista. Di nuovo condannato, fuggì in Siria a combattere al fianco dell’Isis assumendo una posizione di primo piano tra i terroristi del califfato. Nel 2015 Chataev venne inserito nella lista dei terroristi ricercati anche dagli Stati Uniti.
Un curriculum da tagliagole di tutto rispetto insomma. Peccato che la Corte europea dei diritti dell’uomo, in seguito ai ripetuti appelli di Amnesty, ne bloccò l’estradizione a Mosca e l’organizzazione non governativa esultò con un comunicato ufficiale intitolato “Vittoria”. Una grande conquista, non c’è che dire, visto che è riuscita a tutelare il probabile stratega della rete cecena in Europa del califfato, la principale indiziata per gli attentati in Turchia e in Russia. Un network di micidiali terroristi che tra Siria e Iraq conta circa 5000 combattenti e a Mosul sta guidando l’ultima resistenza jihadista contro l’esercito governativo iracheno. Nel Caucaso lo scorso anno fu sempre una fazione cecena islamista a compiere un attacco contro le postazioni dell’esercito russo, assaltando mezzi militari a suon di bombe.
In seguito all’attentato di Istanbul e al probabile coinvolgimento nell’operazione terroristica di Chataev, il comunicato ufficiale sulla vicenda di Amnesty International,tuttora leggibile sul sito dell’organizzazione, si conclude così: “Amnesty International continuerà il suo lavoro per una campagna contro l’uso della tortura in ogni circostanza; a prescindere dal presunto crimine”. Lodevole, almeno secondo il paradigma dei diritti umani non sindacabili. Peccato che l’indefessa campagna umanitaria abbia tutelato un terrorista il cui ultimo “presunto crimine” sarebbe la strage di civili inermi nella metro di San Pietroburgo. Ricordiamo allora ad Amnesty che il Diritto internazionale umanitario è una delle principali parti del Diritto internazionale pubblico su cui la stessa Amnesty si è fondata, ovvero quella branca del diritto bellico volta a tutelare proprio la popolazione civile e le persone inermi. Una mission che con la difesa a oltranza del terrorista ceceno Chataev, viene quantomeno messa in discussione. Ad essere generosi e “umanitari”.
Eugenio Palazzini