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Pastorale o diplomazia? Tutte le ambiguità del rapporto della Chiesa con la Cina

by La Redazione
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Roma, 17 ott – Che cosa distingue un Papa da un Presidente o da un uomo politico in generale? È semplice: il politico – specialmente in un mondo, come quello attuale, nel quale le ideologie hanno sempre meno peso – può mutare opinione, agire nel modo che ritiene di volta in volta in più opportuno, senza vincoli, tranne, si intende (se è un buon politico), la ragione di Stato e la legalità; un Papa, invece, è vincolato, nella sua azione, da principi superiori, che prescindono dalla sua persona e dal tempo e contesto in cui esercita la sua funzione, è vincolato da un insieme di valori che derivano da Dio. Il Papa è legato indissolubilmente all’azione dei suoi predecessori, vicari, come lui, di Cristo sulla Terra. Se così non fosse, cioè se il Papa potesse agire come il politico, la Chiesa non sarebbe più tale: da istituzione divina (o sacra), diventerebbe istituzione terrena.7

Quando la Chiesa condannava il comunismo

Nel secolo scorso la Chiesa – in particolare la Chiesa di San Giovanni Paolo II – ha preso una netta posizione nei confronti del comunismo sovietico: lo ha condannato. Questa posizione è stata il risultato di un lungo rapporto, quasi da subito conflittuale o comunque critico, fra la Chiesa e i sostenitori del comunismo: se alla fine dell’800, a fronte della necessità di dire la propria opinione rispetto al movimento comunista, la Chiesa, attraverso l’enciclica Rerum novarum di Papa Leone XIII (1891), consigliò ai cattolici di dialogare con i sostenitori del comunismo, nel ‘900, quando il comunismo si materializzò nei regimi sovietici, la posizione della Chiesa divenne più netta: i regimi comunisti erano contrari ai principi cattolici. L’energia di Wojtyla nel combattere tali regimi – e le ideologie che essi veicolavano – è stata una delle più grandi testimonianze di questa posizione.

La caduta del muro di Berlino ha determinato la caduta dell’Urss e, dunque, del comunismo sovietico, ma non ha determinato la caduta di tutti i regimi comunisti: pur essendo, sulla carta, una repubblica – la Repubblica Popolare Cinese, appunto – la Cina è governata esclusivamente dal Partito Comunista Cinese, che detiene la maggioranza assoluta nella nazione da decenni.

Così il Vaticano chiude un occhio nei confronti di Pechino

L’atteggiamento della Santa Sede nei confronti della Cina è fonte di perplessità, se non di preoccupazione. Papa Francesco, che pure ha fatto della difesa dei diritti umani e della democrazia un caposaldo del suo pontificato, intervenendo più volte quasi esplicitamente in questioni di politica estera e interna, non ha manifestato, nei confronti del governo cinese, lo stesso rigore che ha manifestato in altre occasioni: non solo ha evitato qualsiasi accenno alla presunta responsabilità del governo cinese nella diffusione del coronavirus, ma non ha nemmeno denunciato la violenza con cui le autorità cinesi hanno risposto alle manifestazioni degli abitanti di Hong Kong. Questa titubanza del Papa non è stata vinta nemmeno dal governo Usa, che ha invitato la Santa Sede a prendere posizione nell’ormai inevitabile scontro fra gli Stati Uniti e la Cina. In risposta a questa richiesta, la Santa Sede non solo non si è sbilanciata a favore degli Usa, ma ha addirittura manifestato, seppur implicitamente, il suo desiderio di mantenere un rapporto di amicizia con il governo cinese. Il gesto più significativo in questo senso è stato il rifiuto del Papa di incontrare il Segretario di Stato americano Mike Pompeo. Questo rifiuto è stato giustificato dicendo che un incontro fra Pompeo e il Papa durante la campagna elettorale statunitense sarebbe risultato poco opportuno. La spiegazione, però, lascia perplessi: le elezioni erano ancora lontane e certo non si può ignorare né la distanza di posizioni fra Papa Francesco e Donald Trump rispetto al tema della gestione dei flussi migratori (e non solo) né l’accordo fra governo cinese e Santa Sede per la nomina dei vescovi cinesi, un accordo importante per la Chiesa, visto che le consente di riprendere contatto in modo significativo con i cattolici presenti nella Repubblica Cinese. L’accordo è stato determinato, ha scritto Vatican News, da fini puramente pastorali, e non diplomatici o politici: come ha detto lo stesso Francesco, lo scopo dell’accordo è quello di «sostenere e promuovere l’annuncio del Vangelo in Cina e di ricostruire la piena e visibile unità della Chiesa».

Interpretazione diversa dell’accordo è stata data, però, da molte altre persone: rinnovando l’accordo con la Cina, la Chiesa mette a rischio la sua autorità morale e non mancano certamente, all’interno del mondo cattolico e delle alte cariche della Chiesa, moltissimi malumori rispetto all’atteggiamento del Papato nei confronti del governo cinese (come è noto, l’attuale Papa incontra una grande opposizione da parte dei cattolici più conservatori e tradizionalisti). La scelta di rinnovare l’accordo Vaticano-Cina è stata forse dettata, quindi, dal desiderio di adempiere alla missione pastorale della Chiesa; ma a un caro prezzo: chiudere un occhio (o forse anche due) su alcuni aspetti della politica cinese difficilmente condivisibili da un cristiano.

Edoardo Santelli

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Roberto 17 Ottobre 2020 - 5:19

Su Netflix, quindi non su un media lontano dalle posizioni di questo papato, c’è il film biografico su Papa Francesco. Prima che diventasse Papa, Bergoglio, in Argentina, lasciò che il regime torturasse per 4 mesi alcuni dei suoi più intimi amici. Quindi, come si può pensare che Papà Francesco possa nutrire un’empatia maggiore verso i cristiani cinesi vessati dai comunisti?

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