Roma, 31 ago – Spesso in Italia ci lamentiamo delle restrizioni individuali o di massa imposte dalle policy dei vari social media. In un paese che si definisce, non sempre a ragione, “orgogliosamente democratico”, ci sta. Anche se vanno fatte le giuste eccezioni per molti casi in cui gli utenti italiani vengono bloccati, bannati o cancellati, semplicemente per aver pubblicato immagini o opinioni scomode. Soprattutto, inutile dirlo, se sono opinioni non allineate con il progressismo egemone della nuova “cultura” occidentale. Ci sono però paesi che, anche per difendersi da questa nuova cultura decadente imposta ai popoli dall’ideologia mondialista, usano l’estremo opposto per tutelarsi. Tra questi, vi è certamente la moderna Arabia Saudita che non rinuncia a mantenere in patria il severo ordine basato sulla propria interpretazione del Corano e, soprattutto, sull’intoccabilità dei propri regnanti.
45 anni di carcere per un post sui social
In questi giorni una donna saudita è stata condannata a 45 anni di carcere per i suoi post sui social media. E’ già il secondo caso di questo genere nell’ultimo mese. Il tribunale antiterrorismo dell’Arabia Saudita ha condannato Nourah bint Saeed al-Qahtani per “aver usato Internet con l’intento di lacerare il tessuto sociale” e “aver violato l’ordine pubblico utilizzando i social media”. Stando alle poche fonti a disposizione, tra gli attenzionati canali d’informazione saudita, la donna avrebbe criticato nei suoi post alcuni leader sauditi. A riferire la notizia è il gruppo per i diritti degli arabi Dawn (Democracy for the Arab World Now).
A inizio agosto un’altra donna condannata a 34 anni per un tweet
Nemmeno un mese fa, era il 9 agosto scorso, un’altra donna saudita venne condannata a ben 34 anni e incarcerata a causa della sua attività su Twitter. Il suo nome è Salma al-Shehab, dottoranda saudita all’Università di Leeds. La donna è stata arrestata mentre era in vacanza in Arabia Saudita nel gennaio 2021. Il tribunale saudita la ha dichiarata colpevole di “aver prestato soccorso a coloro che cercavano di interrompere l’ordine pubblico” e di “pubblicare voci false e tendenziose”. Prima di lasciare il suolo inglese, la 34enne madre di due figli aveva chiesto il rilascio di attivisti e intellettuali imprigionati nella repressione del dissenso ordinata dal principe ereditario Mohammed bin Salman. All’ora, si credeva che la pena detentiva di Shehab fosse la più lunga mai inflitta a un attivista in Arabia Saudita. Oggi, il ferreo primato giuridico, è stato invece inflitto a Nourah bint Saeed al-Qahtani, con ben 45 anni di carcere.
Leggi antiterrorismo usate come repressione
Il direttore di Dawn della ricerca per la regione del Golfo, Abdullah Alaoudh, ha recentemente dichiarato alla Bbc che aveva appreso del caso di Qahtani solo dopo aver ricevuto documenti del tribunale da una fonte giudiziaria. “Niente nei suoi atti giudiziari riguarda alcuna violenza o attività criminale – aveva detto il direttore di Dawn – Le accuse contro di lei sono davvero ampie. Stanno usando le leggi antiterrorismo e la legge anti-criminalità informatica a loro piacimento. Queste possono criminalizzare qualsiasi post che sia anche solo lontanamente critico nei confronti del governo”. Se la stessa cosa la abbiamo pensata noi italiani, valutando le attività della censura operata daMark Zuckerberg e colleghi, i fatti dell’Arabia Saudita ci rivelano però non essere minimamente paragonabili. Dall’anno scorso, diverse altre attiviste sarebbero state detenute in relazione a post sui social media. Abdullah Alaoudh teme ora che anche loro potrebbero essere condannate a lunghe pene detentive. “Il governo saudita sta inviando un forte segnale all’Occidente che non si preoccupa dei diritti umani e gli attacchi repressivi lo confermano”.
Rapporti stabili tra Arabia Saudita e gli Usa di Biden
Giusto il mese scorso si è tenuto il controverso incontro del presidente degli Stati Uniti Joe Biden con il principe ereditario Mohammed a Gedda. In quell’occasione Biden aveva promesso di fare dell’Arabia Saudita un “paria” per i diritti umani. Biden è il primo Presidente USA ad arrivare in Arabia Saudita, specie se consideriamo che il suo volo diretto era decollato da Tel Aviv. Questo è probabilmente un gesto simbolico della crescente accettazione di Israele da parte di Riyadh. Con l’invasione russa dell’Ucraina, Mosca ha superato i sauditi diventando il principale fornitore di petrolio della Cina, scalzando l’Arabia Saudita e, anche per gli Usa è diventato impossibile escludere i sauditi dai propri interlocutori. I prezzi del carburante sono infatti un tema a cui l’elettorato americano, sia esso composto da democratici o da repubblicani, tiene molto e, i sauditi, ne sono tra i maggiori produttori al mondo. Ai voglia i dem a parlare di diritti dem senza voti o petrolio.
Andrea Bonazza
2 comments
E all’ora ?!
In Arabia Saudita si usa così.
All’ora (?!) vedete se ci può fare qualcosa Bergoglio.
Mi viene chiesta ragione dell’apostrofo.
Licenza poetica.
C’è chi può e chi non può.