Home » Assalto finale all’Europa: il non detto della strategia Biden-Harris

Assalto finale all’Europa: il non detto della strategia Biden-Harris

by La Redazione
0 commento
joe biden kamala harris

Roma, 6 set – Tentando di tralasciare la scorciatoia interpretativa complottista ed anche, chiaramente, le versioni del mainstream egemone globalista di sinistra radicale o liberal, nondimeno esistono sul piano della grande politica internazionale delle tendenze strategiche di fondo che andrebbero costantemente tenute in considerazione.

Le “tre tendenze”

La prima tendenza strategica – e più importante – che ha caratterizzato i primi venti anni del nuovo millennio è stato il pieno ritorno alla centralità nella scena internazionale della Russia di Vladimir Putin, con il decisivo discorso di Monaco del 2007.

La seconda tendenza di fondo, strettamente legata alla prima, è che sempre la Russia di Putin si è imposta sulla scena mondiale non più come forza globalistica, progressistica e neo-illuministica, come fu in sostanza l’Urss (altro volto della medesima medaglia dell’americanismo), ma al contrario come una vera e propria ideocrazia conservatrice e anti-progressista, unica potenza mondiale la quale ha ripreso a combattere – e sta combattendo – l’elitismo ideologico progressista del deep state proponendo oggettivamente un differente modello di civilizzazione e una differente politica “ideologica” di civiltà, con al centro valori eterni come lo Stato etico, la sacralità della terra patria e non umori passeggeri quali “benessere”, mercato, spread, crescita, genderismo.

La terza tendenza, che ha fatto parlare quasi tutti gli osservatori di imminente avvento del multipolarismo, è rappresentata dalla posizione di forza, quasi esclusivamente economicistica ed assolutamente non ideocratica, che la Cina Socialista ha potuto assumere sul piano internazionale grazie all’ingresso nel Wto concordato con la frazione tuttora politicamente egemone dell’elitismo occidentale, quella clintoniana di cui fa parte Joe Biden, lo sfidante del presidente Trump.

Cosa succede se vince il duo Biden-Harris?

Molti seri analisti italiani, ad esempio Germano Dottori, collaboratori del mensile “Limes”, ritengono però che una eventuale vittoria, nel novembre 2020, di Joe Biden e della sua vice Kamala Harris non sposterebbe affatto la strategia di politica internazionale che il presidente Trump in questi ultimi quattro anni ha percorso. Biden-Harris non muterebbero, in ultima istanza, la notevole contrapposizione, su tutta la linea, all’imperialismo economicistico di Pechino, che ha caratterizzato l’approccio trumpiano verso il fu celeste impero.

Se messa alla prova, la politica internazionale Biden-Harris sarà una lieve metamorfosi del trumpismo e non una vera e propria rottura con esso. Quella che si sta combattendo in Usa per l’egemonia è una vera e propria guerra fra falchi e radicali e evidentemente la frazione Trump è la frazione meno militaristica presente sul campo, per questo la più osteggiata, in particolare da talune frazioni del Pentagono. Basti pensare, riguardo al probabilissimo militarismo global-progressistico della frazione Biden-Harris a cui potremmo assistere a breve, all’aperto sostegno militante dato loro dai neocons, i responsabili ideologici dei maggiori e più terribili massacri da “guerra umanitaria” di questi ultimi decenni dal medio oriente alla Serbia, passando per l’Ucraina.

Eccoci arrivati perciò al nodo della questione americana. Ciò che in definitiva la sinistra radicale e i neocons non perdonano a Donald Trump è il rifiuto dello strumento di “guerra umanitaria” o “guerra di civiltà” come metodo sistematico di politica internazionale. Ed infatti, di fronte alle ben sette operazioni di guerra messe in moto dal premio Nobel per la pace Obama, Donald Trump ha risposto chiudendo dove possibile fronti di guerra, non aprendone altri, nonostante gli scontati e aperti sabotaggi delle suddette frazioni del Pentagono.

Un’amministrazione Obama 2.0

Lascia peraltro perplessi l’entusiasmo con cui un certa classe dirigente europeistica, radicale di sinistra ma non solo, guarda tuttora al lascito dell’ex presidente Obama. La strategia obamiana ha significato, all’interno dell’Unione Europea, anzitutto aggressione sociale ai ceti medi della stessa, sui quali sono stati scaricati da oltreoceano i costi della crisi finanziaria dello scorso decennio prima, quelli della guerra in Ucraina poi, con una mirata tattica sanzionatoria che ha “stranamente” fatto il gioco dell’economia cinese, ancor più che degli Stati Uniti. Ha significato altresì terrorismo islamico, stragismo di massa e protratto in terra d’Europa, attacco frontale e mirato a quelle forze arabe o mediorientali storicamente filo-italiane, per la geopolitica degli anni ’30 o per quella successiva al termine della seconda guerra mondiale. Ciò ha condotto, come vediamo, all’espansione della Fratellanza musulmana di Erdogan e Qatar in ogni angolo del Mediterraneo.

Obama è stato perciò un devoto continuatore della strategia fanaticamente anti-europea che ha caratterizzato la sinistra radicale clintoniana dalle origini, si pensi appunto al sostegno ad Al Qaeda nei Balcani contro la Serbia e ai terribili bombardamenti di Belgrado. Se la Russia non fosse intervenuta in Medio Oriente in difesa della comunità cristiana sul punto di essere totalmente sterminata, intervento del resto richiesto dal legittimo Stato baathista di Damasco, avremmo avuto una inarrestabile espansione dell’Isis all’interno dell’Ue, data anche l’ingiustificata indifferenza dei vertici franco-tedeschi, vaticani e comunitari in genere.

E’ probabile, perciò, che quando in questi giorni Biden-Harris hanno parlato di rafforzamento della Nato e di “very hard containment” verso la Russia di Putin non abbiano affatto bluffato, quanto invece recitato quel copione che il deep state ha ben programmato da anni, che Obama ha tentato di portare in fondo aggredendo l’Europa in quanto non adeguatamente anti-russa e che Trump ha coraggiosamente interrotto: non perché russofilo, viceversa poiché ritiene che il vero nemico degli Usa sia il socialismo imperialista e progressista cinese, non il conservatorismo russo-europeo.

Il bluff Biden-Harris emerge invece quando sono stati costretti a invocare un contenimento duro anche verso Pechino. Biden ha già dichiarato, in realtà, che uno dei primi suoi atti presidenziali sarà mettere fine alla politica dei dazi trumpiana verso Pechino, che ha danneggiato enormemente l’espansionismo imperialista di Xi Jinping. Diao Daming, esperto di politica internazionale presso l’Università Remnin di Pechino, ha detto esplicitamente che il Partito Comunista Cinese sostiene, quantomeno idealmente, Biden-Harris, mentre Li Haidong (China Foreign Affairs University) sostiene che la presidenza Biden sarà ben più agevole da affrontare per Pechino rispetto al Trump II e prevede esplicitamente, se si affermerà Biden, una nuova versione della clintoniana “Chimerica”, sia sul piano economico che su quello sanitario (vaccini, nanotecnologie, scambio dati medici).

L’Europa campo di battaglia

E’ evidente che l’Europa sarà la prima vittima in un simile disegno. Ciò che gli europeisti, in conclusione, non sembrano ben considerare è che come Obama ha reso la terra d’Europa campo di battaglia di spedizioni tattiche anti-russe, del terrorismo stragista islamico e punto terminale di una autentica invasione, allo stesso modo i “nuovi amici” della sinistra radicale progressista, Biden-Harris, potrebbero usare proprio, sino a farle esplodere, le contraddizioni tedesche e europee, per riportare in auge la centralità imperialista statunitense. Come con Obama l’Europa diventò di colpo l’epicentro dell’attacco terrorista islamista, così con Joe Biden l’Europa potrebbe di nuovo divenire il luogo politico-economico su cui scaricare le contraddizioni inter-imperialiste: questo il significato del programma della sinistra radical-liberal statunitense quando parla di “rafforzamento assoluto della Nato” e contenimento molto duro verso la Russia. Non è ancora chiaro se la Merkel uscirà definitivamente di scena. La Grosse Koalition, autentica quintessenza della sinistra progressista merkelista, si è strategicamente basata in questi anni sul principio: meno Europa, zero identità nazionale tedesca, più Nato. Ove il merkelismo si dovesse effettivamente incontrare con i sogni bellicisti del duo Biden-Harris non è difficile prevedere che l’Europa sarà di nuovo campo di battaglia e gli europei carne da macello per il miglior compratore.

Mikhail Rakosi

You may also like

Commenta

Redazione

Chi Siamo

Il Primato Nazionale plurisettimanale online indipendente;

Newsletter

Iscriviti alla newsletter



© Copyright 2023 Il Primato Nazionale – Tutti i diritti riservati