Ankara, 12 ott – L’attentato terroristico, molto probabilmente ad opera di due attacchi suicidi, che sabato ha squarciato il cielo di Ankara è senza dubbio il più atroce della storia della Turchia.
Secondo i dati forniti dal governo, il bilancio è di 95 morti e 246 feriti (fonti curde invece contano 128 morti ed oltre 500 feriti).
Come se non bastasse, l’atteggiamento delle forze dell’ordine turche, ha non poco contribuito a riscaldare gli animi già scossi dall’attentato stesso, impedendo il trasporto dei feriti in ospedale, in effetti ancora sul posto dopo svariate ore dal fatto, e soprattutto la circolazione dei video, subito censurati dai network locali.
Ma le polemiche segnano la forte instabilità politica che la Turchia sta attraversando. Mentre il presidente Erdogan condannava l’attentato terroristico e il premier Davutoglu, convocava una riunione d’urgenza con i vertici della sicurezza, il partito HDP di Selahattin Demirtas, per bocca di alcuni suoi deputati e del suo leader, attribuiva non troppo velatamente, le responsabilità dirette o indirette dell’attentato a Erdogan e alla sua compagine di governo.
Il tutto sulla scia di altri numerosi attacchi terroristici subiti dal partito, come quelli di Dyarbakir, alla vigilia del voto di giugno, in cui morirono 2 persone, e quello del 20 luglio a Suruc, con 33 attivisti diretti a Kobane uccisi da un attentatore suicida.
Questi due precedenti attentati, servirono il pretesto al presidente turco per iniziare una nuova campagna bellica, formalmente contro i gruppi terroristici tra cui l’ISIS, ma praticamente solo contro il PKK, rompendo così di fatto una tregua che durava da dieci anni.
Le prossime elezioni, previste ad inizio novembre, potrebbero così essere rinviate per motivi di sicurezza scaturiti proprio da questi ultimi fatti, ma in realtà per nascondere la debolezza del partito del presidente, che vedrebbe cosi sfumare nuovamente la possibilità di ottenere la maggioranza assoluta e mettere mano alla modifica della costituzione in senso islamista.
In quest’ottica, va analizzato l’ordine del cessate il fuoco impartito dal PKK ai suoi miliziani, che interrompe ogni tipo di azione militare offensiva contro le forze armate turche. Questa tregua, di fatto unilaterale, decisa dai movimenti combattenti curdi sta quasi certamente a significare il non coinvolgimento delle fazioni militanti curde nell’attentato, come qualcuno ad Ankara sostiene, per non dare ulteriore pretesto ad Erdogan di rinviare le elezioni o addirittura bandire l’HDP.
La dichiarazione di tregua del PKK non è tuttavia bastata, e nella giornata di ieri, il governo turco ha nuovamente attaccato le postazioni curde, durante i raid aerei di Ankara sarebbero stati uccisi 49 miliziani curdi.
Contemporaneamente, nella capitale turca si svolgeva una grande manifestazione per la pace ed antigovernativa, per onorare le tante vittime del duplice attentato di sabato. Migliaia di manifestanti hanno scandito slogan contro Erdogan e contro la polizia che ha risposto con cannoni ad acqua per fermare il corteo diretto verso il Parlamento.
Durante la giornata di ieri sono stati resi noti i primi dettagli dell’attentato di sabato, che sarebbe stato compiuto da un uomo e da una donna, il primo di età compresa tra i 20 e i 25 anni sarebbe il fratello maggiore dell’attentatore suicida di Suruc, anche il tipo di esplosivo sarebbe lo stesso. Il governo si è affrettato ad accusare l’ISIS anche per l’attacco di sabato, compiuto da una sua cellula attiva nella provincia sud-orientale di Adiyaman.
Quindi riveste un ruolo centrale l’analisi sui fattori esterni della politica turca, in primo luogo quella attuata nei confronti della Siria dal 2011. È fuori ogni dubbio il coinvolgimento, a tutti i livelli, di Erdogan e dei servizi turchi nell’appoggiare, finanziare ed addestrare, le numerose cellule terroristiche che operano, con il loro supporto, alla distruzione della sovranità e dell’unità della Siria.
Il presidente turco è tra i maggiori sponsor della politica anti-siriana, messa in piedi con i finanziamenti delle monarchie del Golfo, Arabia Saudita in primis, e avallata da alcuni paesi occidentali e dalla Casa Bianca. La politica neo-ottomana, per un ruolo di espansione di potenza nella regione, attuata da Erdogan, nonostante le immani distruzioni causate alla Siria, ha subito una battuta d’arresto, sicuramente non calcolata al principio, per via della coraggiosa resistenza della nazione siriana e ora dall’intervento militare russo.
Il gioco d’azzardo in Siria sta durando troppo e sembra sempre più deflagrare tra le mani di uno dei suoi più convinti organizzatori, ovvero Erdogan stesso. Quella che doveva essere una blitzkrieg contro la Siria, basata sulle orde di mercenari terroristi, si sta rivelando in realtà un boomerang verso i suoi fautori turchi e lungo i loro confini.
Basta pensare, alla crescente importanza, anche politica, dei curdi siriani, cosa che Ankara non può assolutamente tollerare, e alla galassia dei territori controllati dai terroristi qaedisti, ISIS in testa, che con l’intervento russo si stanno ritirando, con barba fatta, nel territorio turco, dove hanno sempre trovato accoglienza e protezione.
L’attentato di Ankara, segue inoltre di un giorno, la decisione della Casa Bianca di concentrarsi sul rafforzamento militare e politico dei curdi siriani, cosa che ha fatto infuriare il governo turco. Oggi sembrano sempre più profetiche, le parole espresse anni fa dal Presidente siriano Bashar Al Assad, rivolte al suo ex amico Erdogan e agli altri nemici: “Il terrorismo non è la carta vincente che mettete in tasca e che tirate fuori quando e dove volete, giocandola innumerevoli volte. Il terrorismo è simile ad uno scorpione che vi punge in qualunque momento. Perciò non è possibile che stiate con il terrorismo in Siria e contro il terrorismo in altri o nel vostro paese”.
Giovanni Feola