Roma, 24 nov — Foto di bambini con orsetti di pelouche decorati con inquietanti accessori fetish, più adatti ai dungeon di un club sadomaso o al Gay Pride di turno: questa l’«ideona» di Balenciaga per la campagna Objects, la collezione di idee regalo per il Natale (sic) 2023. Loro «ci hanno provato», come si suol dire, sulla scia della normalizzazione di perversioni, devianze e fetish mostrate a bimbi di pochi anni — dalle sfilate Lgbt piene di nudità agli spettacoli di drag queen per e con bambini. Ma stavolta il pubblico delle piattaforme non gliel’ha fatta passare liscia, sollevando una bufera social tale da convincere la casa di moda a fare marcia indietro e ritirare la campagna pubblicitaria.

Balenciaga e gli orsetti sadomaso

«Abbiamo rimosso la campagna da tutte le nostre piattaforme. Lo zainetto Plush Bear non avrebbe mai dovuto essere ritratto tra le mani di un bambino. Porgiamo le nostre scuse a chi si è sentito offeso», ha scritto Balenciaga su Instagram. Due in particolare le fotografie al centro delle polemiche. Nella prima la bimba è in piedi su di un letto rosa e tiene in braccio un orsacchiotto che indossa un top a rete, un collare con lucchetto e manette a caviglie e polsi. Nella versione a grandezza naturale dell’immagine, un secondo orsacchiotto è visibile nella camera da letto con collare e benda sugli occhi. Nella seconda fotografia, un altro bambino tiene in braccio un orsacchiotto con una pettorina borchiata e un collare di pelle.

Vogliono i vostri bambini

Inutile sottolineare che i bambini non possono sapere che si tratta di abbigliamento fetish, ma gli adulti spettatori di queste immagini sì. E’ come se attualmente l’establishment fosse ossessionato dai bambini e dalla necessità di esporli a contenuti perversi e ipersessualizzati per preparare uno speciale terreno di coltura a base di lavaggi del cervello gender-fluidi, spinte al cambio di sesso in età prepuberale e infiltrazioni pedofile. Ed è per questo che risulta estremamente difficile non inserire questa iniziativa tra le pratiche, più o meno striscianti, di sdoganamento della sessualità estrema o deviata. Sdoganamento di cui il mondo Lgbt si è inizialmente fatto alfiere, per poi contagiare ogni ambito dell’establishment: editoria, moda, arte.

Cristina Gauri

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Classe 1977, nata nella città dei Mille e cresciuta ai piedi della Val Brembana, dell’identità orobica ha preso il meglio e il peggio. Ex musicista elettronica, ha passato metà della sua vita a fare cazzate negli ambienti malsani delle sottoculture, vera scuola di vita da cui è uscita con la consapevolezza che guarire dall’egemonia culturale della sinistra, soprattutto in ambito giovanile, è un dovere morale, e non cessa mai di ricordarlo quando scrive. Ha fatto uscire due dischi cacofonici e prima di diventare giornalista pubblicista è stata social media manager in tempi assai «pionieri» per un noto quotidiano sabaudo. Scrive di tutto quello che la fa arrabbiare, compresi i tic e le idiozie della sua stessa area politica.

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