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Fare una canoa a forma di vagina? Nel Paese delle geishe non si può

by Giorgio Nigra
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japanese-3d-printing-vagina-artist-denies-charges-6Roma, 10 mag – Ancora una volta, il Giappone si conferma la terra delle contraddizioni (che sono tali, ovviamente, solo all’occhio occidentale che osserva il Sol Levante). La storia dell’artista giapponese Megumi Igarashi, condannata a pagare una maxi-multa di 400mila yen, pari a 3,250 euro, a causa dei contenuti “osceni” della sua arte, rientra in questa parte di incomprensibilità della cultura nipponica.

La performer 44enne è infatti famosa perché “scolpisce” oggetti con la forma della sua vagina. “Lavoro per modificare l’idea di oscenità, che in genere è vista dalla prospettiva maschile. Sono mortificata che il giudice non l’abbia capito”, ha spiegato l’artista, che ha già annunciato che ricorrerà in appello. Igarashi era incappata nella giustizia nipponica due anni fa per aver cercato di raccogliere fondi via internet per costruire un kayak a forma di vagina. Per trovare sponsor aveva pubblicato sul web immagini codificate in 3D delle sue parti intime, con la possibilità di essere copiate dagli utenti. Il tribunale di Tokyo ha stabilito che la donna è colpevole per avere diffuso su internet i dati della propria vagina, in modo che chiunque potesse riprodurla da casa sua.

Il Giappone vieta, infatti, la diffusione di raffigurazioni dei genitali. È il motivo per cui la fiorente industria del porno nipponica mette in mostra un campionario davvero ragguardevole di perversioni ma ha l’obbligo di “pixellare”, cioè rendere irriconoscibili, i genitali. L’articolo 175 del Codice penale giapponese punisce come oscenità “tutto ciò che susciti desiderio sessuale” il che lascia ai magistrati un bel po’ di discrezionalità. Una rigidità che stupisce in un Paese che non ha una cultura religiosa basata sul peccato, in cui l’arte erotica è popolarissima fin dal ‘600 e in cui l’eros, come ogni altra cosa, è trasfigurato in stile e ritualità. Ma il puritanesimo accanto all’Impero dei sensi caratterizza appunto la contraddittorietà di questa particolarissima nazione, dove si possono comprare le mutandine usate dalle liceali in appositi negozi ma in cui non si fanno figli perché gli uomini sembrano letteralmente non interessati a fare sesso.

Rokude Nashiko”, il nome d’arte di Megumi, che vuol dire “bambina buona a nulla”, era stata arrestata e poi rilasciata alcuni giorni dopo, anche grazie alla mobilitazione di migliaia di persone attraverso una petizione. Il fatto di persistere nelle sue provocazioni artistiche l’aveva messa di nuovo nei guai. Il giudice l’ha quindi condannata per diffusione di materiale osceno, e mitigando la richiesta dell’accusa per una multa di 800mila yen, il doppio di quanto inflitto.

Giorgio Nigra

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Paolo 11 Maggio 2016 - 10:18

Ovviamente – e come sarebbe giusto che sia – i Giapponesi hanno la loro cultura, la loro propria concezione di morale e su questo non si discute (e dunque, se la vedano tra di loro).

Certo, per i nostri canoni, la Megumi nelle sue provocazioni è quasi ingenua; alcune delle sue sculture (come quella della foto) a me, fanno persino tenerezza.

http://i.dailymail.co.uk/i/pix/2014/12/24/6V3VbtmJU-HSK1-2886004-Japanese_artist_Megumi_Igarashi_shows_a_small_mascot_shaped_like-a-10_1419423988127.jpg

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