Roma, 30 gen — Se al mondo comandassero solo le donne, sostengono alcune frange del progressismo terminale, non vi sarebbero più ingiustizie, prevaricazione e violenza: questa enorme balla — sconfessata nero su bianco dall’operato di molte donne che in passato hanno ricoperto cariche di comando — trova l’ennesima smentita nel caso del dirigente Google Ryan Olohan, licenziato per aver rifiutato le avance da uno degli amministratori di più altro grado della compagnia.
Dirigente Google licenziato perché rifiuta le avance della capa
Secondo quanto riporta il DailyMail la top-dirigente autrice delle insistenti presunte molestie sarebbe Tiffany Miller. Gli avvicinamenti nei confronti di Olohan, secondo quanto riferito da lui, sarebbero iniziati nel corso di una cena avvenuta nel 2019. In quell’occasione la Miller avrebbe palpeggiato con insistenza l’oggetto delle sue attenzioni sessuali, toccandogli l’addome e complimentandosi con l’uomo per il suo fisico. Poi si sarebbe lamentata del proprio matrimonio, probabilmente per indurre Olohan a concedersi.
Un comportamento che l’uomo aveva immediatamente segnalato alle risorse umane di Google, ma che nessuno si era preso la briga di affrontare seriamente. Anzi: da quel momento in poi la Miller aveva messo in atto una serie di atteggiamenti vittimistici nei confronti di Olohan, denunciando presunte «microaggressioni» almeno fino al 2021.
La controffensiva
Olohan segnala un episodio, risalente proprio a quell’anno, in cui la Miller, ubriaca, lo avrebbe minacciato nel corso di un evento Google, creando una situazione imbarazzante, di estrema tensione. In quel frangente si era reso necessario l’intervento dei colleghi che avevano separato i due. La Miller si era in seguito scusata ma, fa sapere l’ex dirigente, «Sebbene Google fosse a conoscenza del fatto che le continue molestie di Miller derivassero dal rifiuto delle sue avance sessuali, ancora una volta non ha intrapreso alcuna azione legale».
Al triste episodio erano seguiti alcuni mesi di grande pressione della Miller nei confronti di Olohan, in cui lo aveva costretto a licenziare un impiegato uomo per far posto a una donna. Il mese successivo era arrivato il benservito anche per Olohan, dopo 16 anni di servizio nell’azienda, con l’assurdo pretesto di «non essere inclusivo». Alla faccia del «maschilismo tossico».
Cristina Gauri