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F-35, all’Italia finisce solo la carrozzeria

by Gabriele Taddei
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Un F-35 Lightning II Joint Strike Fighter nella Naval Air Station (NAS) di Patuxent River, Usa.

Washington, 20 dic – Italia, Turchia, Giappone, Australia. Qui saranno localizzati dal 2018 i primi quattro centri regionali di manutenzione, riparazione, revisione ed aggiornamento per le flotte aeree militari nel mondo basate sui Lockheed Martin F-35 Lightning II.

Un successo? Analizziamo la questione nel particolare.
Sul versante europeo all’Italia, nello specifico agli impianti industriali della base aerea novarese di Cameri, vengono assegnate le attività riguardanti la cellula del velivolo – ossia il cosiddetto ‘air frame’: ala, fusoliera, piani di coda, carrello – mentre la Turchia si è aggiudicata la manutenzione sul motore, con Norvegia ed Olanda pronte entro il 2020-21 a provvedere ad una capacità addizionale rispetto agli anatolici. Sul fronte Pacifico il Giappone sarà responsabile per la zona settentrionale, mentre l’Australia garantirà i lavori in quella meridionale: entrambi fin dal 2018 pronti per la cellula, mentre sul motore i nipponici partiranno due anni dopo (2020) rispetto agli australiani. Queste assegnazioni prevedono l’attività MRO&U (Maintenance, Repair, Overhaul and Upgrade) per tutti i velivoli di qualsiasi nazionalità di stanza nella regione di competenza e saranno riviste – ed eventualmente riassegnate – tra cinque anni.

Queste le comunicazioni del produttore, Lockheed Martin, piuttosto chiare. Altrettanto chiare risultano le parole al generale statunitense Cristopher Bogdan, a capo del progetto, il quale chiarisce il concetto fondamentale del “Global Sustainment Posture”, il processo globale di supporto tecnico all’F-35: “ogni nazione in grado di mettere in piedi una capacità regionale avrà la garanzia di ricevere commesse rapportate alla quantità di aerei acquistati. Se modificherà i suoi programmi, il carico di lavoro regionale potrebbe essere dirottato verso chi può assicurare la migliore best value”. E sul best value, garantisce Bogdan, saranno basate anche le assegnazioni per le attività MRO&U delle componenti più nobili ed a maggior ricaduta tecnologica, quali elettronica, sistemi, componentistica, armamento, oltre alla messa in opera dei magazzini per i pezzi di ricambio e gli equipaggiamenti di supporto. Tutti da assegnare nei prossimi anni.

Al di là quindi delle dichiarazioni di circostanza dell’Amministratore Delegato di Finmeccanica Moretti e quelle addirittura esaltate del ministro della difesa Pinotti sul “risultato straordinario”, la “credibilità del nostro paese” ed i tecnici americani “strabiliati”, che ti fanno pensare alla classica, pingue newyorkese col vestito a fiori in preda alla Sindrome di Stendhal sotto la Cupola di San Pietro; la situazione appare abbastanza chiara per chi vuol vederla.

Il marchio del produttore dell’F-35, con il suo esauriente motto.

Le prime assegnazioni sono state attribuite in base alla maggiormente adeguata capacità industriale attuale delle nazioni con maggiori ordinativi e facenti parte del consorzio di finanziamento del progetto. Si tratta delle assegnazioni meno pregiate e garantite nel periodo ‘meno interessante’, considerato che questo, come qualsiasi altro mezzo, avrà necessità maggiori di lavorazione nei decenni a venire – soprattutto tra gli anni ’20 e ’40 – quando le flotte saranno interamente consegnate, attive ed utilizzate, non certo nella fase di consegna e, addirittura, ancora contrattazione nella quale ci troviamo attualmente. E nel 2019 ci saranno la rivista e la riassegnazione dei centri MRO&U in base al numero dei velivoli che ogni nazione avrà acquistato.

Intanto Londra scalpita in silenzio. Attrezzandosi come base addestrativa per il Nord-Europa dei futuri piloti degli F-35 e ponendosi come principale base NATO per la guerra elettronica sul continente europeo, il Regno Unito si colloca in pole position per l’assegnazione delle commesse per le componenti più importanti del velivolo, contando quindi sia sulla preparazione tecnica che sulla consapevolezza di essere il primo partner finanziatore del progetto (2,5miliardi di euro, due volte e mezza l’investimento dell’Italia, secondo partner) e perciò da ‘ripagare’ cospicuamente.

Considerazioni. Il rischio reale è quello di aver pagato un miliardo di euro di finanziamenti – oltre ad una futura enormità di denaro per acquisti e supporto – per lavorare sulla ‘carrozzeria’ di un aereo, non acquisire know-how e fungere da eterni fornitori di carpenteria per un tempo oltretutto relativamente breve. A meno di non acquistare tutti gli F-35 promessi. Ed eventualmente anche qualcuno extra.

Sia chiaro: piacciano o meno, Lockheed Martin e Pentagono dal loro punto di vista sono nel giusto e fanno benissimo. Il principio del best value in un consorzio è corretto e premia chi più investe assegnandogli maggiori commesse lavorative, con tutto ciò che significa in termini di ricadute tecnologiche, industriali, economiche ed occupazionali.

La domanda è: il punto di vista di Lockheed Martin e Pentagono coincide con il nostro, di italiani ed europei?
Conviene ai nostri interessi geopolitici e geostrategici diventare semplici filiali di un’azienda militare che, dopo aver ucciso la concorrenza sul proprio suolo nazionale (Boeing) e trasformatasi sostanzialmente in monopolista, sbarca in tutto il mondo occidentalizzato per far fuori gli impreparati concorrenti e porsi, di conseguenza, come vero e proprio soggetto globalizzatore del settore? Conviene renderci dipendenti dalle tecnologie militari degli Usa, i quali avranno in dotazione un vero e proprio pulsante on/off istantaneo di tutti gli F-35 presenti nel mondo – con ovvie conseguenze in fatto di indipendenza – e difficilmente concederanno ad altri il know-how presente sugli apparecchi? Conviene mandare a mare il programma europeo ed il consorzio Eurofighter, che guadagna sempre più interesse nel mondo? Conviene perdere un quarto di secolo, ossia il tempo necessario a progettare, sviluppare, dare il via a macchine come questa? Conviene guardare sempre a Washington (o Mosca) per programmare il futuro di un continente abitato dai settecento milioni di individui più preparati, istruiti e capaci del mondo?

Non si tratta solo di decidere se questo maledetto aereo ci piace o meno.

Gabriele Taddei

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