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Alta tensione in estremo oriente: la Cina ai ferri corti con le Filippine

by Paolo Mauri
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Filippine SpratlyMar Cinese Meridionale, 19 lug – Sembra non trovare una soluzione la disputa internazionale che negli ultimi anni ha per oggetto la sovranità sul Mar Cinese Meridionale. Il 12 luglio scorso il Tribunale di Arbitrato dell’Onu si è espresso in favore delle Filippine, che avevano presentato nel gennaio del 2013 un esposto contro la Cina, sostenendo che Pechino non può avanzare pretese territoriali sulla zona di esclusività economica delle isole Spratly, contese anche da Malesia, Taiwan, Brunei e Viet Nam.

Ma la Cina sembra non aver pacificamente accettato la sentenza e si prepara a difendere quello che ritiene essere il proprio diritto di rivendicare la sovranità sulle isole: Pechino infatti stabilirà una “Zona di Identificazione e Difesa Aerea” (Air Defense and Identification Zone, Adiz). Mossa unilaterale che potrebbe ulteriormente destabilizzare la situazione già molto tesa a causa della politica di espansione cinese, volta a fare del Mar Cinese Meridionale un proprio “bastione” sia per le risorse energetiche e commerciali presenti che per una motivazione puramente strategica: controllare un braccio di mare che permetterebbe alle sue forze missilistiche strategiche sottomarine di incrociare in una posizione avanzata e sicura, perché posta sotto il proprio diretto controllo.

Mar Cinese MeridionaleDure le parole del ministro degli Esteri Liu Zehnmin, che nella conferenza stampa di mercoledì scorso dopo la sentenza del Tribunale de L’Aia ha dichiarato che “Per quanto riguarda l’istituzione di una Zona di Difesa Aerea sul Mar Cinese Meridionale quello che ci interessa chiarire è che la Cina ne ha il diritto” e che le Filippine stanno “fomentando problemi” nel consesso internazionale.
A tutti gli effetti la Cina sta lentamente impossessandosi di quel braccio di mare costruendo isole artificiali in modo da farne basi di partenza per le proprie forze armate, fatto ancora una volta condannato dal Tribunale de L’Aia. “Non è stato trovato nessun fondamento legale che giustifichi le rivendicazioni storiche della Cina sulle risorse in quel tratto di mare che ricade nella ‘nine-dash line’ “ così ha sentenziato la Corte martedì scorso riferendosi alla linea di demarcazione risalente al 1947 e oggetto della diatriba.

Lo stesso presidente Xi Jinping ha dichiarato che Pechino non accetterà tale decisione pertanto la situazione, nonostante le dichiarazioni moderate del Governo filippino che plaude alla decisione di risolvere le dispute pacificamente, potrebbe lentamente ma inesorabilmente peggiorare: gli Stati Uniti infatti non possono permettere che i loro interessi e quelli dei loro alleati nell’area vengano minacciati da questo rinnovato espansionismo cinese. Nei mesi scorsi abbiamo già assistito ad incidenti tra le forze armate Usa e cinesi alle prese con le rispettive prove di forza e recentemente Pechino ha dispiegato sottomarini atomici nell’area facendo innervosire le cancellerie degli Stati della regione, Giappone e Taiwan su tutti. La politica del “affettare il salame” cinese sembra che comunque stia dando i suoi frutti, almeno per ora, dato che Pechino molto semplicemente non rispetta le decisioni prese in seno agli organismi internazionali; così facendo la stessa reazione americana, basata sul diritto di libertà di navigazione, appare all’opinione pubblica come una risposta giusta e debitamente commisurata alla minaccia e cela perfettamente i reali interessi di Washington, ma quel che si teme è che si possa arrivare, magari anche nel lungo periodo, ad un’escalation che potrebbe portare le due potenze sull’orlo di un conflitto aperto. Del resto la questione è vitale per entrambi i Paesi: da un lato la Cina, potenza emergente e affamata di risorse, si vuole ritagliare il proprio spazio vitale e soprattutto vuole allargare la propria sfera di influenza in Asia, e quindi in Africa e nel mondo, dall’altro gli Stati Uniti hanno ben chiaro che non possono permettersi di perdere il controllo della zona perché vorrebbe dire essere ricacciati indietro militarmente di migliaia di miglia e soprattutto venire estromessi dal controllo delle risorse economiche ed energetiche non solo asiatiche ma, nel lungo periodo, anche africane.

Paolo Mauri

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Chen 19 Luglio 2016 - 6:14

Quella Tribunale Internazionale ( PCA) non è di competenzia ONU,
la vera Tribunale del mare dell’ONU è ICJ.
Tutte 2 hanno lo stesso sede in AJa con uffici diversi però con lo stesso tribunale
Sperando che i lettori possano sapere meglio della situazione.

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