Roma, 22 ago – Lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, in arabo chiamato al-Dawla al-Islāmīya, si sarebbe formato nel 2003 come Jamāʻat al-Tawḥīd wa-al-Jihād (Organizzazione del Monoteismo e della Jihad) con a capo Abu Musab al-Zarqawi. L’attuale denominazione di Isis è stata adottata il 9 aprile 2013 in seguito all’occupazione di vaste aree a cavallo tra Siria ed Iraq. A partire dal 14 maggio 2014 il Dipartimento di Stato statunitense ha iniziato a chiamare Isil (riferendosi con la lettera L a Levant) questa organizzazione. L’ultima S di Isis sta invece per Siria o Sham. Gli acronimi vengono tuttora alternati dai media, ma la sostanza a ben vedere non cambia. Districarsi comunque nella galassia dei gruppi islamisti del Medio Oriente non è facile, spesso è difficile accertare l’attendibilità delle fonti, a volte leader dati per morti risorgono improvvisamente, d’un tratto spuntano nuove sigle di organizzazioni che rivendicano attacchi armati o conquiste territoriali.
L’attuale capo dell’Isis è comunque l’autoproclamatosi califfo dello Stato Islamico Abu Bakr al-Baghdadi che al momento dello scoppio della guerra in Siria sostenne la nascita della formazione antigovernativa Jabat al Nusra. Dall’aprile 2013 una scissione interna avrebbe portato alla separazione tra l’Isis di al-Baghdadi e il nucleo di al Nusra capeggiato da Abu Mohammed al-Joulani. Fatto è che sul fronte anti-Assad si ritrovano tuttora diverse formazioni di cosiddetti ribelli più o meno sostenuti dagli Stati occidentali.
Ma quali sono i reali obiettivi dell’Isis?
Stando ad un video diffuso in rete intitolato “la fine si Sykes-Pikot” il gruppo di al Baghdadi punta all’eliminazione dei confini tra gli stati del Medio Oriente finalizzata alla creazione di una grande nazione islamica e ad eliminare le organizzazioni considerate apostate, Hamas ad esempio è vista come un freno all’avanzata dell’Isis. L’attuale califfato sarebbe quindi soltanto l’inizio, l’apripista di un nuovo progetto panislamico. Nel frattempo in Iraq e in Siria la legge imposta è una soltanto: eliminare tutti gli infedeli, parte dei sunniti compresi.
Viene da chiedersi a questo punto chi ha finanziato e armato un gruppo così pericoloso che ha mostrato in pochissimo tempo una forza militare sul campo non indifferente. Qualcuno a riguardo ha le idee piuttosto chiare: “Abbiamo armato noi l’Isis in Siria per poi combatterlo in Iraq”. A dichiararlo è il senatore americano Rand Paul, uno dei papabili candidati repubblicani alle elezioni presidenziali del 2016, in un’intervista rilasciata alla CNN lo scorso giugno.
Su Il Giornale Marcello Foa non ha usato mezzi termini: “nessuno racconta com’è nato l’Isis, chi l’ha voluto, chi l’ha finanziato. La risposta è sorprendente: sono gli stessi americani con alcuni alleati tra cui Paesi del Golfo, primo fra tutti il Quatar, con il consenso, pare, di israeliani e britannici. Già perché l’Isis rappresenta l’evoluzione di quelle bande armate – composte da fanatici e da criminali – che gli Usa assieme agli alleati hanno appoggiato e armato nel tentativo di rovesciare il regime siriano di Assad.”
Il premier iracheno Nouri al Maliki in un’intervista alla tv France 24 ha poi accusato esplicitamente Arabia Saudita e Qatar di sostenere l’Isis e i gruppi fondamentalisti che agiscono a cavallo tra Siria ed Iraq: “Incoraggiano i movimenti terroristici, li armano e li sostengono politicamente ed economicamente. Stanno conducendo una guerra aperta contro di noi”. A spingere i ricchi paesi del golfo a sostenere l’Isis sarebbe sempre il buon vecchio oro nero. Per Kate Dourian, redattore capo dell’autorevole Middle East Economic Survey, destabilizzando l’Iraq si mette fuorigioco l’industria petrolifera locale e così “ci guadagnano tutti gli altri produttori, soprattutto i sauditi”.
L’accusa più pesante è però quella, secondo quanto riportato da Global Research, che avrebbe avanzato l’ex informatico della CIA Edward Snowden: “Sono stati Gran Bretagna e Usa in collaborazione con il Mossad a creare l’Isis”. Per Snowden l’intelligence dei tre paesi avrebbe agito così per attrarre estremisti in un’unica zona del Medio Oriente concependo una strategia denominata “the hornet’s nest”, il nido di vespe. Perché, sempre secondo Snowden, “l’unica soluzione possibile per lo stato ebraico è la creazione di un nemico vicino ai propri confini che diffonda slogan tipici dell’estremismo islamico”. Stando ad alcuni presunti documenti della Nsa (l’Agenzia statunitense per la sicurezza nazionale), citati sempre da Global Research, il Mossad avrebbe addirittura addestrato l’attuale califfo dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante Al Baghdadi per generare il caos in Siria ed Iraq e per alimentare un sentimento antislamico a livello globale. Alcuni analisti, va detto, hanno espresso dubbi circa il fatto che Snowden abbia davvero fatto queste rivelazioni.
Un modus operandi machiavellico ma allo stesso tempo rischioso per gli stessi ideatori del piano, come testimoniano le parole del parlamentare iracheno Mohammed Sehoud riportate da Tg24 Siria: “gli Usa hanno bombardato l’ISIS perché si è esteso più di quanto concordato con essi”.
Eugenio Palazzini