Roma, 28 apr – Quello che sta succedendo in Estremo Oriente andrebbe visto con occhi scevri da ogni pregiudizio politico che porta a tifare partigianamente pro o contro Trump o Kim Jong-un. Abbiamo già avuto modo di dire che la Corea del Nord, fondamentalmente, è solo una pedina in un gioco a scacchi più grande, i cui giocatori, Usa e Cina, muovono contemporaneamente altre pedine e non solo militari. Però quanto sta succedendo nelle ultime settimane merita una riflessione più approfondita soprattutto considerando il caso peggiore della risoluzione della crisi coreana, ovvero un attacco americano.
Prima di addentrarci nella trattazione delle possibili soluzioni di attacco occorre fare una premessa: il recente impegno militare nell’area, che sembra ad occhi inesperti una vera e propria escalation, in realtà rappresenta il ritorno allo status quo ante amministrazione Obama. Il passato esecutivo, infatti, aveva tra le linee guida un progressivo disimpegno da alcune aree “delicate” del mondo, e l’Estremo Oriente era tra queste, nonostante parte del Congresso sostenesse con forza la dottrina del “pivot to Asia” (lo spostamento degli interessi geopolitici dall’Europa all’Asia), mentre il Senato, al contrario, sosteneva e ancora sostiene un impegno maggiore in Europa e Medio Oriente. Piccolo inciso, chi scrive ritiene che il “pivot to Asia” sia già un dato di fatto e non solo della politica americana, ma di quella globale. Disimpegno, dicevamo, che è stato messo in pratica delegando la risoluzione delle contese territoriali, ad esempio quelle sul Mar Cinese Meridionale, a sporadiche dimostrazioni di forza come sorvoli di bombardieri ad affermazione del diritto internazionale di navigazione, e avendo cura, parallelamente, di perorare le cause di nazioni alleate (Filippine ad es.) nelle loro istanze presso l’Onu e presso altri organi preposti a derimere certe questioni di diritto internazionale. Un abbandono della presenza “boots on ground” che è stato particolarmente sentito da quelle nazioni che più si sentono minacciate dalla politica militare nordcoreana ma soprattutto dalla politica di espansione cinese, come il Giappone ad esempio. Pertanto quanto stiamo assistendo in questi giorni è il progressivo e repentino ritorno degli Stati Uniti ad attori principali nella regione, ovvero alla condizione che è sempre stata normale nei decenni precedenti.
Cosa spariglia le carte allora? Sicuramente Trump sta pagando il lassismo obamiano verso la Corea del Nord di questi anni passati, con Kim Jong-un che, nonostante le sanzioni, sta efficacemente, ma non così velocemente, mettendo a punto il suo programma di armamento atomico e missilistico intercontinentale, questo soprattutto grazie alla Cina, che, se da un lato preme su Pyongyang con sanzioni e ammonimenti, dall’altro fornisce armamenti e conoscenze al dittatore, e in parte grazie anche alla collaborazione con Russia e Iran, che hanno fornito tecnici e tecnologia per l’arricchimento dell’uranio. Occorre quindi dare assicurazioni agli alleati Usa, Giappone e Corea del Sud in primis, che si sono sentiti “abbandonati” da Obama, pertanto non c’è modo migliore di farlo che mostrando i muscoli nella regione, da qui, più che l’invio dello Strike Group della USS “Carl Vinson”, che come abbiamo già avuto modo di dire era previsto da mesi, l’invio del sommergibile lanciamissili da crociera USS “Michigan” e soprattutto l’arrivo del sistema antimissile e difesa d’area THAAD che presto diventerà operativo in Corea del Sud e che garantirà la copertura, col suo lunghissimo raggio d’azione, anche al Giappone. Tutti Paesi, Australia compresa, che più che temere un attacco atomico, temono un attacco al Sarin da parte di Pyongyang, dato che la Corea del Nord ha un arsenale chimico di tutto rispetto a differenza di quello atomico (si stima tra le 12 e le 24 testate nucleari, ma alcune fonti ne conteggiano di meno, 8 o 10). Il Giappone stesso infatti sospetta (e forse è più di un sospetto) che dietro all’attacco col Sarin alla metropolitana di Tokyo di due decenni fa (1995) ci fosse lo zampino di Pyongyang che ha fornito il gas al gruppo terrorista nipponico autore dell’attacco. Pyongyang che potrebbe essere anche il burattinaio delle recenti proteste contro l’installazione del THAAD in Corea del Sud e che potrebbe aver ordito e fomentato le sommosse popolari che hanno fatto cadere il governo di Seoul di recente, ma queste restano speculazioni, anche se, guardando alla storia passata ed al modus operandi in questi casi, non ci stupirebbe (ricordate le proteste contro gli Euromissili? Eterodirette da Mosca, ça va sans dire!).
Veniamo dunque al cuore della trattazione, ovvero ai possibili scenari di attacco che si aprirebbero in caso la diplomazia fallisse e nel caso che la Cina venisse messa da parte da Washington nella trattativa diplomatica per ovviare a questa ipotesi. Essenzialmente si aprono 3 prospettive diverse per un attacco.
Il primo vede un intervento mirato, chirurgico, verso il cuore delle installazioni nucleari della Corea del Nord. Il sommergibile “Michigan” e la scorta della Vinson hanno abbastanza missili Tomahawk da poter infliggere seri danni ai reattori di Yongbyon e Taechon oltre che alle installazioni secondarie che servono a condurre test e ad arricchire l’uranio e a quelle basi di lancio o siti missilistici conosciuti ( Ch’ongjin, Mayang-do e Wonsan per dirne alcuni) . Questo scenario sarebbe il più soft perché non coinvolgerebbe il fattore umano nell’attacco, risparmiando cioè i cacciabombardieri della Vinson o di base a terra in Corea del Sud. Ovviamente la risposta coreana ci sarebbe e sarebbe limitata a cercare di colpire gli obiettivi americani: non solo lo Strike Group, ma anche quelle basi americane in Giappone o Corea del Sud, risparmiando probabilmente le installazioni militari e civili degli alleati.
Il secondo scenario di intervento vede un attacco più complesso, volto a danneggiare non solo le installazioni missilistiche e nucleari nordcoreane, ma anche quelle militari propriamente dette: in questo caso si svolgerebbe con l’aiuto non solo dello stormo imbarcato sulla Vinson e dei caccia basati a terra in Corea, ma richiederebbe l’appoggio delle Forze Armate Sud Coreane e del gruppo navale Giapponese che in questo momento sta incrociando nel Mar del Giappone di scorta allo Strike Group americano. I bersagli sarebbero quindi, oltre ai reattori e alle basi missilistiche, i concentramenti di forze corazzate e tutti i siti di deposito conosciuti dei missili mobili nordcoreani oltre a siti di stoccaggio delle testate chimiche e biologiche di Pyongyang (Aoji, Ch’ongjin, Wonsan, Sunch’on, Anju, Pyongsong ecc). Questo scenario porterebbe ad una reazione di Pyongyang che probabilmente impiegherebbe il proprio arsenale missilistico convenzionale, chimico e biologico sulle basi non solo americane, ma anche giapponesi e sudcoreane, e quasi sicuramente si avrebbe un attacco di ritorsione, con le artiglierie, lungo il 38esimo parallelo che vedrebbe coinvolta anche Seoul, che, lo ricordiamo, si trova nel raggio di azione dei cannoni a lunga gittata e dei missili d’artiglieria nordcoreani trovandosi a circa 40 km dal confine. Il THAAD è stato schierato anche per ovviare alla minaccia di un possibile attacco di tale tipo, mentre il Giappone dispone attualmente del sistema Patriot governato dal sistema Aegis che è presente sui cacciatorpedinieri (DDG) classe Kongo e classe Atago (Kongo migliorata).
Il terzo e ultimo scenario è quello di un attacco preventivo a grande scala, per mettere in pratica l’Oplan 5015 ovvero un “decapitation strike” per piegare una volta per tutte la Corea del Nord e procedere all’unificazione della penisola. L’attacco consisterebbe in “a preventive strike on the North’s core military facilities and weapons as well as its top leaders”. Quindi i bersagli di questa azione, che sarebbe condotta probabilmente anche con armamento nucleare tattico, sarebbero i quartier generali nordcoreani delle varie forze armate, i centri di comunicazione, comando e controllo, e le basi di lancio missilistiche note oltre che ovviamente a quelle basi dove sono concentrate la maggior parte delle forze corazzate di Pyongyang ammassate principalmente a ridosso della DMZ del 38esimo parallelo. Chongju, Kaech’on, Toksan, Kosan sono solo alcuni dei nomi delle località sede di comandi che verrebbero colpite. A questo tipo di attacco corrisponderebbe una reazione massiccia da parte di Pyongyang, una vera propria guerra. Reazione che, riteniamo, si avrebbe comunque anche in caso di riuscita della “decapitazione” dei quartier generali. Il rischio, infatti, è dato dalla natura stessa delle Forze Armate e della società della Corea del Nord: il Partito ha armato quasi totalmente la popolazione che è stata inquadrata nelle milizie popolari, ma soprattutto l’Esercito, che consta di circa 900mila uomini, è fortemente politicizzato ed i suoi leader, anche locali, sono ben addestrati e perfettamente integrati all’ideologia del governo. Questo permette ad un comandante locale, in assenza di ordini superiori ed in caso di attacco, di poter assumersi maggiori responsabilità nonostante il sistema sia comunque fortemente gerarchizzato: in caso di emergenza, ogni brigata, ogni divisione, è in grado di operare a compartimenti stagni e in modo indipendente. Quindi, forti della dottrina militare che ritiene che gli Stati Uniti ed i loro alleati necessitino di un tempo significativo per dispiegare le proprie forze di invasione, che giungerebbero comunque dopo il primo strike che essenzialmente sarebbe aereo e missilistico, i generali nordcoreani procederebbero, come da programmi, ad un attacco immediato con tutte le forze disponibili. Una vera e propria invasione che arriverebbe immediatamente dopo un primo attacco effettuato con le forze speciali per sconvolgere le retrovie della Corea del Sud, acquisendo così l’iniziativa tattica e costringendo gli Usa a utilizzare le armi nucleari per fermare l’avanzata e per evitare che la penisola coreana cada in mano a Pyongyang.
La vera incognita, in questi tre scenari, è il comportamento della Cina. Chi scrive ritiene che l’obiezione che si solleva in questi casi, ovvero che basti il debito americano detenuto da Pechino a fare da assicurazione sulla vita, sia priva di fondamento: nella storia ci sono stati esempi di guerre condotte proprio per “estinguere i debiti” e risolvere la questione una volta per tutte (si pensi a Filippo il Bello ed i Templari) e altre se ne sono fatte per incassare i crediti. Pertanto la Cina, che ha degli enormi interessi nell’area (per inciso si è scagliata vivacemente contro l’allestimento del sistema THAAD in Corea del Sud) e che in questi ultimi anni sta dando luogo ad un espansionismo senza precedenti, potrebbe decidere di rompere gli indugi e di venire in soccorso del suo scomodo alleato nordcoreano, così come fece già una volta in occasione della guerra terminata nel 1953. Del resto, come abbiamo già detto, lo scenario di una Corea unificata sotto l’ala protettrice di Washington piace molto poco a Pechino, che così vedrebbe i suoi avversari commerciali e strategici (o nemici?) avvicinarsi di centinaia di chilometri rispetto alla situazione attuale. Senza considerare che, in caso di guerra, la Cina potrebbe decidere di risolvere, a modo suo, la situazione nel Mar Cinese Meridionale approfittando della distrazione delle forze americane e alleate puntate verso la Corea, e quindi porre fine alle dispute territoriali con le Filippine e le altre nazioni rivierasche con un attacco diretto alle loro installazioni e forze militari nell’area.
Paolo Mauri
2 comments
il punto e’ uno solo!
in qualsiasi caso… i danni inferti a testate , centrali e armamenti nucleari , chimici e batteriologici…renderebbero una catastrofe non solo la regione colpita ma contaminerebbe la corea del sul gran parte della cina e probabilmente anche il giappone, senza contare il mare circostante…..
SE il pazzo reagisce e figurati se non lo fa’ colpira’ seza pieta la corea del SUD e nulla o assai poco potranno fare gli americani…..
a questi MILIONI DI MORTI e MILIONI di profughi nord coreani che scaperanno cercando aiuto in cina….LA QUALE NON LI VUOLE …. ha fatto i conti TRUMP ?
cioe’ qui qualsiasi delle opzioni anche altre a piacimento, scateneranno un inquinamento nucleare e chimico senza precedenti….ed e’ certissimo che i CINESI non staran a guardare….e probabilmente MOSCA nemmeno…
MORALE TRUMP inizia ad aprire i SILOS intercontinentali….
perche chiunque spara n colpo li, da inizio ad una guerra nucleare mondiale…che per ovvie ragioni di numeri, non solo rendera il modno intero INVIVIBILE per sempre, ma vedra gli USA ( DISINTEGRATI in pochi minuti)….arsenale nucleare, RUSSO E CINESE IRANIANO e di tutti i loro alleati…contro quello EU e USA ; vi rendete conto….siamo 10 a 1
UN SUICIDIO (purtroppo) per gli USA, in qualsiasi caso….
TENTATIVO DI SOLUZIONI ?!?
colpire la cina economicamente , SE SI OSTINA a non voler PRENDER DI PETTO il loto amico FORMAGGIO NORD COREANO, e farla finita con LUI , pur conservando i loro interessi…..
solo la CINA che e’ complice puo risolvere la questione…
tutte le altre possibilita’ dipendono SE la cina, gli sta bene avere dosi massicce di radiazioni oltre confine….e milioni di profughi NORDCOREANI che varcano i loro confini…..
UNA CATASTROFE umanitaria e non solo…per la cina!
Esiste sempre una guerra fredda , di cui nessuno. Se ne accorge. America e cina. Capitalismo contro comunismo masherato. La guerra si e giocata in borsa, le nuove armi sono le manipolazioni dei titoli, e le mosse delld banche centrali.