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La democrazia Usa? Un affare per soli oligarchi e banchieri

by Redazione
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iran 8Roma, 29 feb – Mentre le primarie americane agitano gli umori dell’opinione pubblica globale è d’obbligo indagare le vere dinamiche che si muovono dietro le quinte della “più grande democrazia del mondo”. Per farlo non è male iniziare da questa formula: «dispotismo elettorale», coniata da James Madison, quarto presidente degli States e figura cardine della storia americana. Per lui il libero voto avrebbe prodotto semplicemente la dittatura delle masse incolte, che le classi dirigenti avrebbero dovuto limitare per conseguire i veri interessi della nazione. Una pensiero che rivela molto a proposito delle spinte celate dietro il mito della democrazia a stelle e strisce. Già diversi framers, i famosi Padri Fondatori, erano convinti della necessità che il paese fosse guidato da un gruppo di elitisti illuminati, capaci di amministrare senza lasciarsi traviare dalle folle e dalle passioni.

Nonostante nobili eccezioni, queste istanze anti-egualitarie si sono trascinate fino ai giorni nostri, subendo addirittura delle paurose accelerazioni negli ultimi tempi. Nessun governo dei migliori però, ma la logica del dollaro a farla da padrone. «L’amministrazione pubblica è tuttora di competenza quasi esclusiva dei ceti più abbienti» ha rilevato Dario Fabbri, che ha descritto le maggiori distorsioni del sistema: «Anzitutto, l’influenza smodata degli oligarchi che conducono primarie personali e che impongono le loro priorità ai congressisti. La presenza delle grandi dinastie che, con i loro professionisti della politica e custodi del consenso, si contendono gli incarichi più prestigiosi (Casa Bianca compresa). L’ingerenza dei lobbisti, ufficiali e nascosti, che fissano l’agenda parlamentare e che, in barba allo spoils system, detengono il potere burocratico, essenziale nella gestione dello Stato. L’assenza pressoché totale di ideologie, che tramuta la competizione elettorale in una questione tra consulenti di marketing ed esperti in comunicazione».

Un passaggio importante è stato sancito dalla recente sentenza Citizens United vs Federal Election Commission (2010), con la quale la Corte Suprema ha permesso a individui e società private di finanziarie ad libitum i singoli candidati, a patto che non ci sia coordinamento tra loro e i fondi siano elargiti da super pacs, comitati politici. «I super ricchi si stanno comprando il sistema politico americano esattamente come gli oligarchi russi hanno comprato il loro» è stato il graffiante commento dell’editorialista del Washington Post Dana Milbank. Non a caso, grandi magnati della politica hanno rafforzato il loro prestigio, assumendo un ruolo sempre più centrale nelle stanze del potere: i candidati presidenziali, oberati di debiti al termine della corsa elettorale, diventano quasi pupazzi nelle loro mani. Le elezioni 2016 hanno scatenato la solita folle corsa all’accaparramento dei migliori finanziatori (ricordiamo che i 400 americani più ricchi dispongono di un patrimonio superiore a quello della metà della popolazione, come verificato da Politifact). La Clinton è in prima fila, visto che può già vantare, oltre all’influente Clinton Foudation del marito, il sostegno di Soros e altri grandi nomi tradizionalmente vicini al Partito Democratico, come Tom Steyer, manager di hedge funds con un patrimonio di 118 miliardi di dollari. Quest’ultimo è noto per l’abitudine di invitare ciclicamente i leader della sinistra nel suo ranch di Pescadero, per influenzarli e testarne l’opinione.

Una prassi, quella degli incontri segreti, che ricorda da vicino le mosse del mondo finanziario, altro attore opaco quanto centrale nell’architettura americana. Fu il New York Times nel 2010 a denunciare l’esistenza di una cupola di grandi banchieri (Club dei 9) capace di influenzare la politica e esercitare un potere esclusivo di controllo sul mercato dei derivati, al riparo da ogni trasparenza e concorrenza. Si può leggere testualmente: «Il terzo mercoledì di ogni mese, nove membri di un’elitè di Wall Street si riuniscono a MidTown Manhattan. I dettagli delle loro riunioni sono coperti dal segreto. Rappresentano Goldman Sachs, Morgan Stanley, JP Morgan, Citigroup, Bank of America, Deutsche Bank, Barclays, Ubs, Credit Suisse». Gruppi talmente influenti da poter sferrare addirittura un attacco finanziario all’euro nel 2010. Il democratico Soros, forte delle passate esperienze di speculazioni ai danni della lira e della sterlina, figurò in prima fila, stando alle rivelazioni di un’inchiesta del dipartimento di Giustizia americano. Da parte repubblicana, i grandi dominatori sono i magnati Charles e David Koch, industriali siderurgici e petroliferi, ovviamente organizzatori di eventi esclusivi (denominati the seminars) dove incontrare i massimi esponenti del Grand Old Party. Altro nome di punta è Sheldon Adelson, ottavo uomo più ricco del mondo, amico di Netanyahu e custode dell’alleanza con Isreale. Parlare di «territori occupati» a proposito della Palestina è costato la carriera al governatore del New Jersey Chris Christie, fatto fuori seduta stante da Adelson.

Era il 1940 quando Giselher Wirsing denunciò le oligarchie che dettavano legge nelle democrazie anglosassoni, vergando il libro Le cento famiglie che comandano l’Impero, riferito in modo particolare alla Gran Bretagna. Nella prefazione all’edizione statunitense si legge: «60 sono invece le famiglie che comandano in America: esse fanno e disfano presidenti, senatori, decidono le guerre e i trattati» (primo esempio i Frelinghuysen, che hanno avuto un proprio esponente eletto al Congresso dal 1793 ad oggi). Nella sostanza, le cose non sembrano essere cambiate poi molto da allora: al momento ci sono al Congresso 39 figli di ex parlamentari e tanto il primo cittadino della California, Jerry Brown, quanto quello di New York, Andrew Cuomo, sono eredi di altrettanti governatori (Pat e Mario). Il mondo americano, comunque tra i pionieri del diritto di voto e spesso capace di produrre e attrarre eccellenze, si trova di fronte alle contraddizioni della sua retorica e della sua storia piena di ombre, come emerge in opere quali «Un paese pericoloso» di John Kleeves e «L’espansionismo americano» di Giovanni Damiano.

Lobbisti, esperti di comunicazione, barriere classiste e dinastiche ne hanno sfibrato il tessuto. Lo stesso popolo che “fece il vago” quando si accorse che il vincitore delle presidenziali G. W. Bush in realtà aveva perso, ha dato libero sfogo alla continuità aggressiva insita nella politica di Obama, una bandiera pacifista e buonista costruita ad arte, da tempo smascherata da Wabster Griffin Tarpley quale l’ultimo «Manchiurian Candidate» del sistema a stelle e strisce. Al momento le previsioni sono fosche: l’unico presunto outsider nella corsa alla successione di Obama è l’istrionico Trump, multimiliardario, uomo di spettacolo al pari di un Reagan o uno Schwarzenneger, inserito a pieno titolo nella peggiore tradizione americana di «destino manifesto» e politica di potenza. «Più le cose cambiano più restano le stesse».

Agostino Nasti

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Cesare 2 Marzo 2016 - 11:18

Anche negli USA come in molti paesi, Italia compresa,i banksters oggi fanno l’ esproprio di ogni bene pubblico e privato con il denaro da loro creato a costo zero tramite le stampanti di denaro chiamate banche centrali, (tutte private) o tramite le loro banche private(in cui con 1000 euro depositati possono prestare e crearne 10000 dato che solo il 10% và tenuto in contanti!!!!!)
Negli USA circa 40 milioni di persone prendono i food stamps cioè i contributi per alimentarsi a dimostrazione che sono stati ridotti alla fame da una ristrettissima oligarchia che in cambio di carta prodotta privatamente si prende tutte le ricchezze.
Se uno stato fosse sovrano di produrre il suo denaro(Libia lo era e per questo l’hanno distrutta e depredata mentre la Siria sotto attacco da 4 anni lo è ancora) le tasse sarebbero meno del 20% mentre oggi in Italia sono al 70% reale per uno con busta paga, considerando tasse e contributi pensionistici (che non vedranno mai con la futura rovina dello stato e del inps) e tutte le imposte indirette sul consumo. E’ quindi fondamentale rinazionalizzare la Banca d’Italia e le ex banche pubbliche affinchè l’Italia non sparisca e che torni il benessere economico dei cittadini con gli investimenti pubblici generati da soldi non presi in prestito da società private,personalità giuridiche che oggi hanno il dominio sulle persone fisiche di una nazione.

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