Manila, 2 mag – Da duro a “rimbalzato”. Potrebbe essere questa la parabola di Donald Trump, che a breve potrebbe ricevere un doppio no alle richieste di incontro formulate ai due leader asiatici più discussi: Kim Jong-un e Rodrigo Duterte. Per il dittatore nordcoreano, dopo i ripetuti avvertimenti da parte Usa, con lo scoppio della terza guerra mondiale che sembrava ormai questione di giorni, sono arrivate prima le lusinghe di Trump, che lo ha definito “un tipo molto sveglio” (ci vuole coraggio), poi addirittura un quasi invito per un incontro “sarei onorato di incontrarlo, alle giuste condizioni“. Le giuste condizioni sono ovviamente la fine dei test nucleari: vedremo se Kim Jong-un accetterà l’invito semi distensivo di The Donald o se continuerà imperterrito a far decollare missili.
Chi sicuramente almeno per il momento non ne vuole sapere di incontrare il presidente americano è Rodrigo Duterte. Anche lui giorni fa aveva ricevuto le lusinghe telefoniche della Casa Bianca, che gli ha detto di “apprezzare molto il suo lavoro, soprattutto sul fronte della lotta alla droga”. La telefonata è terminata con un invito a Washington, al quale il presidente filippino per ora ha risposto picche: “Non posso fare promesse, ho un’agenda molto fitta. Prima devo andare in Russia e in Israele”. Da parte Usa c’è chiaramente la volontà di non perdere un alleato storico e strategico nel pacifico come le Filippine, che dopo l’elezione di Duterte si sono avvicinate molto a Pechino, come testimonia l’incontro dello scorso ottobre con il presidente cinese Xi Jinping. In quell’occasione, in cui furono firmati ben 13 accordi bilaterali tra la Cina e le Filippine, non solo sul piano economico ed industriale, il presidente filippino era arrivato addirittura ad annunciare “il divorzio con gli Usa”.
Colpa anche di Obama, che con Duterte non si era mai preso per quella storia dei metodi “sbrigativi” utilizzati dal presidente filippino nel contrasto al narcotraffico. L’ex presidente Usa aveva dunque inaugurato il predicozzo del politicamente corretto globale sui diritti umani, al quale ovviamente si erano accodati i vari Onu, Amnesty International etc, fino alle critiche giunte anche da Papa Francesco e dalla Chiesa Cattolica filippina, che anche ultimamente è scesa in piazza contro Duterte. Con Trump, meno interessato a condannare gli “squadroni della morte” di Manila rispetto al suo predecessore e più pragmaticamente rivolto a mantenere l’influenza Usa sulle Filippine, le cose potrebbero cambiare. Non ora però, visto che dopo la minaccia di mandar via i soldati americani dal territorio filippino e le manovre militari congiunte con Pechino, Duterte alla prima occasione ha sbattuto la porta in faccia al povero Donald.
Davide Romano