Zagabria, 18 set – Prima il muro ungherese, poi la volontà di Polonia, Repubblica Ceca e Romania di “difendere i confini”, infine il dietrofront di Germania ed Austria che hanno sospeso gli accordi di Schengen ristabilendo i controlli alle frontiere; ora è la volta della Croazia che nella notte ha chiuso sette degli otto posti di frontiera con la Serbia.
Sono circa 13 mila infatti i profughi che nelle ultime 48 ore si sono riversati nel nostro “vicino di casa” ed il governo di Zagabria, per voce del ministro dell’Interno Ranko Ostojic, fa sapere che “non abbiamo le capacità per accoglierne altri”.
La chiusura ermetica dei confini tra Serbia e Ungheria ha infatti spostato la via di infiltrazione in Europa della massa di persone in arrivo dalla Turchia e dal Medio Oriente passando dalla Grecia e della Macedonia: i profughi entrano in Croazia passando attraverso campi e radure a ridosso del confine con la Serbia.
Il governo di Belgrado protesta per la decisione di Zagabria e ieri ha reso noto che se verranno chiusi i confini la Serbia farà istanza alle sedi giudiziarie internazionali; parallelamente l’Ungheria ha cominciato a costruire un’altra barriera lungo il confine con la Croazia, come fa sapere lo stesso Presidente Orban.
Quello che balza agli occhi è l’incapacità dell’UE di gestire in modo organico e coerente la questione dell’invasione di questa nuova massa di persone, ed il vertice straordinario, convocato dal Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, che si terrà il prossimo 23 settembre tra i vari capi di Stato e di Governo europei, appare tardivo e parte con dei pessimi presupposti: oltre alla frattura di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Romania, pesa come un macigno la decisione delle “accoglienti” Austria e Germania di ripristinare i controlli alle frontiere in barba al valore principe e fondante dell’UE, ovvero la libertà di circolazione di merci e persone. Nello stesso solco appare la decisione, fin’ora solo ventilata, della Francia di dispiegare la Gendarmerie al confine con l’Italia, sempre con funzione di controllo delle frontiere; frontiere che l’Italia, con la sua politica di accoglienza senza freni, non difende alimentando solamente il volume di affari delle organizzazioni dedite al traffico di esseri umani.
Insomma il summit di settimana prossima sembrerebbe nascere più dall’esigenza di ristabilire l’unità dell’Unione Europea piuttosto che dal voler trovare una soluzione per la continua ondata di profughi che sta arrivando dai confini orientali. Una vera propria marea umana ben diversa da quella che è arrivata in questi anni sulle nostre coste (289 mila arrivi dal 2014), lo ricordiamo una volta di più. Perché incrociando i dati dell’UNHCR Italia con quelli del ministero dell’Interno si evince che solo una piccolissima percentuale degli arrivi nel nostro paese gode dello status di profugo: su 170 mila arrivi nel 2014, 3600 hanno ottenuto lo status di rifugiato e 18mila godono della protezione umanitaria o sussidiaria. Gli altri sono, per usare la terminologia politicamente corretta renziana, “migranti economici”, ovvero immigrati clandestini.
Paolo Mauri
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