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Fabbriche di animali: la Germania si interroga sugli allevamenti intensivi

by Emmanuel Raffaele
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Allevamento-maialiRoma, 13 nov – Fanatici vegani contro consumatori di carne convinti e sprezzanti. È così che anche il dibattito sul consumo di carne si riduce, come sempre, ad uno scontro ideologico tra opposte fazioni.

Un’inchiesta tedesca comparsa su “Der Spiegel”, però, ha il merito di andare oltre gli stereotipi, mettendo in luce vari elementi su cui riflettere: salari e delocalizzazioni, salute, ambiente ed etica della produzione dell’industria zootecnica.

Nel frattempo, ecco i primi dati che balzano all’occhio: se in Germania nel 1993 erano 264mila le aziende con allevamenti di maiali per una media di 101 capi ciascuna, oggi le aziende si sono ridotte a 28mila con una media di 985 capi. Infatti, il 32% delle aziende dispongono di oltre di mille capi, mentre nel 1999 erano il 3,4%. Un concentramento della produzione visibile ad occhio nudo, che significa alta specializzazione, maggiore produttività e scomparsa delle piccole e medie aziende.

Sta di fatto che, con 58,7 milioni di suini macellati nel 2012, il paese, dopo Cina e Usa, è al terzo posto quanto a produzione, al secondo quanto ad esportazioni, considerato anche che ogni anno un tedesco consuma in media 39 chili soltanto di carne suina e che l’85% di loro consuma carne ogni giorno, avendone triplicato l’utilizzo rispetto al 1950.

Per fare un confronto: se oggi in Germania si allevano 28 milioni di maiali, nel 2011 in Italia erano 8,5 milioni.

Numeri a parte, l’industria zootecnica tedesca mette di fronte a quello che è il modello europeo di allevamento intensivo e “di massa” ai tempi della società consumistica.

Un modello in cui i prezzi si abbassano, spingendo il consumatore a consumare sempre di più, a scapito di salari, ambiente e condizioni di vita degli animali all’ingrasso, che dispongono in media di una superfice di 0,75 metri quadrati, per una stazza che può giungere anche ai due metri di lunghezza.

Diverse le criticità, a partire dall’utilizzo eccessivo di antibiotici, favorito dalle case farmaceutiche e dal timore degli allevatori che le bestie si ammalino, ciò che però aumenta il rischio che si sviluppino ceppi resistenti spuntando «l’arma più efficace nella lotta contro molte malattie infettive». Basti pensare che «negli allevamenti intensivi si somministra una quantità di antibiotici superiore di quaranta volte a quella impiegata negli ospedali tedeschi».

Esiste poi il problema dello sversamento dei liquami, definito da Michael Shonbauer, ex capo dell’ente austriaco per la sicurezza alimentare, «il pericolo più grave».

«Secondo la camera dell’agricoltura della Bassa Sassonia – scrivono gli autori dell’inchiesta (Amann, Frohlingsdorf e Ludwig) -, nel Sudoldenburg i liquami sono eccessivi e in parte finiscono nelle falde acquifere sotterranee. Tanto che Egon Harms, geologo per una grande azienda idrica della Germania con il compito di assicurare la potabilità dell’acqua, denuncia: «Negli ultimi sette, otto anni, nelle falde freatiche più superficiali della zona il livello di nitrati è aumentato in modo preoccupante».

Nei distretti di Cloppenburg e Vechta i liquami raggiungono i 7,4 milioni di tonnellate all’anno, il che rende impossibile il rispetto dei limiti per lo sversamento nei campi e sta costringendo il governo della Bassa Sassonia a controllare i certificati di eliminazione.

Quanto al consumo idrico in sé, per la produzione di un chilo di carne di maiale occorrono 5.998 litri d’acqua; 287 per un chilo di patate.

Altra serissima questione aperta, quella dei lavoratori. «Tutto il sistema si basa sul dumping dei salari», secondo Matthias Brummer, delegato del Ngg, il sindacato del settore.

«Da tempo le aziende hanno smesso di assumere lavoratori specializzati tedeschi per appaltare l’opera ad aziende dell’Europa dell’est. Oggi, secondo le stime, settemila tra romeni, polacchi e ungheresi sezionano, disossano prosciutti e macinano carne negli stabilimenti industriali tedeschi».

La piccola cittadina di Essen, ad esempio, è diventata centro “specializzato” nella fornitura di manodopera a basso costo. Su 8.500 abitanti, un migliaio circa sono impiegati nella macellazione, che ogni settimana fanno fuori ben 64mila suini per conto di un’azienda danese che in patria dovrebbe pagare i lavoratori tre volte di più. Il tutto per un costo al consumatore che in alcuni casi potrebbe variare appena di una manciata di centesimi.

Ed “infine” ci sono le questioni etiche. Poiché il “prodotto” in questione è pur sempre un animale, un essere vivente e qui non si tratta più dell’idea un po’ romantica e antica dell’allevamento classico. Qui si tratta di vere e proprie fredde fabbriche di animali, in cui il maiale è inserito fin dalla nascita in un procedimento produttivo scandito da tempi e trattamenti precisi, che lo privano del normale ciclo vitale e del suo habitat, del suo spazio e della sua stessa natura, dal momento che, ad esempio, per evitare che si feriscano gli vengono limati i denti, gli viene tagliata la coda e per la maggior parte vengono castrati, già nei primi giorni di vita attraverso l’asportazione  – molto spesso effettuata senza anestesia ma con la sola somministrazione di un analgesico – dei testicoli .

Per la maggioranza vivono in box singoli, senza possibilità di movimento.

Le scrofe, tanto alta è la “produttività”, spesso non riescono più a nutrire i “piccoli” dopo qualche cucciolata e vengono così macellate perché improduttive a cinque/sei anni, rispetto ad una speranza di vita che arriva a quindici anni.

I maiali appena nati rimangono con la madre per venti giorni, poi vengono subito selezionati per taglia e messi all’ingrasso. In quattro mesi possono passare da trenta a 120 chili. A volte crescono troppo e le ossa non reggono, si spezzano.

Quando non sono tenuti in box singoli, vivono insieme fino a 15 maiali. Anche la macellazione viene effettuata in serie. Nello stabilimento di Rheda-Wiedenbruck ogni giorno vengono abbattuti 25mila suini, 1700 in un’ora. Gli animali, caricati su un montacarichi, vengono «storditi con l’anidride carbonica, sospinti su un nastro trasportatore e quindi appesi per le zampe posteriori a due ganci. Poi un apparecchio automatico li solleva e li mette su una specie di piedistallo dov’è in attesa il macellaio […]. In questo modo si spedisce all’aldilà un maiale ogni tre secondi».

Dopo di che, è compito di un apparecchio scansionare il “prodotto” per misurarne la quantità di grasso, muscolo, ossa e cotenna e determinarne il prezzo.

Nulla è lasciato al caso per garantire ad ogni tedesco di mangiare carne ogni santo giorno.

Eppure, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha preso da tempo posizione contro il consumo eccessivo di carne, così come la Società europea di medicina preventiva, che attraverso il suo presidente, Michael Sagner, consiglia un consumo limitato a tre volte la settimana, facendo notare come: «partendo da un consumo medio di 50 grammi di carne, ogni volta che lo si raddoppia aumenta del 18% il rischio di contrarre un cancro al colon e del 42% quello di contrarre malattie cardiocircolatorie».

Eppure, in luogo del proverbiale pane a tavola, oggi pare sia la carne a farla da padrona.

Ecco perché la riflessione sugli allevamenti intensivi e sulle cifre del consumo di carne è d’obbligo: «È giusto produrre carne in questo modo? È possibile produrre animali come fossero articoli in serie? È necessario? È lecito? Cos’è che non va in questa catena di sfruttamento?».

Emmanuel Raffaele

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3 comments

Luisa 4 Giugno 2016 - 11:11

E’ provato che questi poveri animali, negli allevamenti, soffrono delle pene atroci, inflitte da noi carnefici senza scrupoli. Privare un animale di vivere la propria vita con un regolare ritmo che rispetti la nascita, la crescita e la vita stessa dell’animale, è a dir poco aberrante. Se tutti limitassimo il consumo di carne al minimo se non quasi al nulla, gli allevatori, le case farmaceutiche e tutta la filiera di sfruttatori, sarebbero costretti a rivedere le condizioni e i trattamenti da adottare negli allevamenti intensivi, magari sarebbero più “umani”. Non sono e non sarò mai complice di queste torture sugli animali, meglio essere vegetariani!!!

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mario caproni 11 Dicembre 2016 - 11:56

Assolutamente scandaloso che esseri viventi vengano trattati in questi modi, soprattutto in un Paese civile come la Germania. In nome soprattutto del profitto, per produrre un alimento tral’altro dannoso alla salute. Che siano emesse delle leggi internazionali contro la tortura. Intanto iniziamo a non dare piu i nostri soldi a questi carnefici, la salute e l ambiente guadagnerà benefici.

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mario 11 Dicembre 2016 - 11:56

Assolutamente scandaloso che esseri viventi vengano trattati in questi modi, soprattutto in un Paese civile come la Germania. In nome soprattutto del profitto, per produrre un alimento tral’altro dannoso alla salute. Che siano emesse delle leggi internazionali contro la tortura. Intanto iniziamo a non dare piu i nostri soldi a questi carnefici, la salute e l ambiente guadagnerà benefici.

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