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La globalizzazione è arrivata al capolinea, ma l’America rimane la regina del mondo

by Guido Taietti
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globalizzazione

Per globalizzazione si intende quel processo attraverso il quale si costruisce – tramite istituzioni, trattati e tecnologie – la possibilità di concepire il mondo come un unico mercato di materie prime, risorse, capitali e stock di lavoratori e consumatori. Questo fenomeno si è verificato storicamente – in forme più o meno compiute – lungo i secoli: l’Impero britannico ai tempi della Compagnia delle Indie, ad esempio, può considerarsi un tentativo di procedere verso la globalizzazione. Tuttavia, solo recentemente quest’ultima ha raggiunto la sua forma più compiuta.

Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di aprile 2023

Nel passato sono sempre esistiti limiti tecnologici e politici che impedivano o rendevano poco razionale il tentativo di considerare il mondo intero come uno stock unico di risorse, lavoro, mercato e capitale. Invece, a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale – da quando cioè gli americani ereditarono il controllo degli oceani dal collassato Impero britannico – e fino a pochi mesi fa, il processo di integrazione dei sistemi produttivi mondiali in un unico sistema è progredito senza sosta.

Chi traeva vantaggio dalla globalizzazione

Questo processo subisce un ulteriore balzo in avanti con il crollo dell’Urss: la metà del mondo socialista si prestava molto ad aderire a questo progetto statunitense ma, una volta crollata l’alternativa socialista, questo disegno ha potuto procedere in modo piuttosto spedito, anche considerando che il grande attore socialista rimasto, la Cina, chiese di essere ammessa a questo iter senza tentare di costruire un sistema parallelo e alternativo come ai tempi della Guerra fredda.

Leggi anche: La globalizzazione ha fallito. E ora ne paghiamo il prezzo

Questo andamento della situazione ha consentito a molte nazioni di agganciarsi alle catene di valore mondiali e ne ha resa razionale l’integrazione delle economie nazionali. Le vecchie economie, basate in parte sulla sussistenza o legate a vincoli specifici come la mancanza di materie prime o di strumenti tecnici, hanno visto moltissimi dei loro problemi risolti in un attimo: chi necessitava di semilavorati poteva ora trovarne in abbondanza, senza preoccuparsi di sviluppare un’economia diversificata che potesse produrre tutto. Paesi dalle limitate capacità agricole furono in grado di importare cibo e materie agricole e dedicarsi così a sviluppare un settore industriale. Paesi dal grande potenziale, ma poveri di capitali, videro l’afflusso di capitali esteri. In sostanza, ogni economia trovò in qualche modo vantaggioso perdere un certo grado di autonomia e ampiezza per ottenere integrazione e specializzazione.

Ora vince solo lo Zio Sam

La premessa geopolitica perché tutto questo meccanismo funzionasse era la possibilità che il commercio e, logisticamente parlando, il trasporto fossero pacificati. Non a caso molti analisti affermano che la globalizzazione è in realtà solo il riflesso del controllo statunitense degli oceani. Quel che è davvero interessante è notare che, nonostante gli Usa abbiano sostanzialmente costruito l’impianto infrastrutturale della globalizzazione, hanno fatto il possibile per rimanerne al di fuori, «al di sopra» precisamente: sono esportatori netti di petrolio e gas, importano pochissime materie prime agricole, esportano tendenzialmente prodotti ad altissimo plusvalore. In questo senso, molti sostengono che la guerra in Ucraina sarebbe il cuneo che sta facendo collassare il meccanismo della globalizzazione, perché ne ha distrutto alcune premesse: non sarà più possibile comperare energia a basso costo, perché alcune nazioni sono sotto sanzioni, e non sarà più facile esportare in alcuni luoghi perché esiste il pericolo di un conflitto. Eppure, paradossalmente, i creatori di questa «globalizzazione» saranno quelli che ne soffriranno meno di tale inceppamento, per il quale tutte le…

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1 commento

fabio crociato 6 Maggio 2023 - 11:47

Quindi l’ analisi deve vertere, come una volta, sul mondialismo spiritual-culturale piuttosto che sul globalismo materiale assolutamente non funzionale (quindi nei fatti non applicato), alla gestione capitalistico-centralizzante e saccheggiatrice.

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