Washington, 26 ott – Si respira parecchio imbarazzo nella Silicon Valley. Sì, perché un’inchiesta del New York Times ha infine scoperchiato il vaso di pandora: Google avrebbe coperto tre alti dirigenti per molestie sessuali. Tra questi c’è anche Andy Rubin, il creatore del software Android. Lo stesso Rubin che aveva lasciato l’azienda nel 2014 con tutti gli onori e con una buonuscita di ben 90 milioni di dollari. Secondo l’inchiesta, «il signor Rubin è uno dei tre dirigenti che Google ha protetto negli ultimi dieci anni, dopo che questi erano stati accusati di cattiva condotta sessuale. In due casi – spiega il Nyt – Google ha espulso i dirigenti, ma ha attutito il colpo pagando liquidazioni da milioni di dollari, anche se non vi era alcun obbligo legale per farlo. In un terzo caso, invece, un dirigente ha mantenuto il suo posto, lautamente retribuito, presso l’azienda. E ogni volta Google è rimasta in silenzio, non facendo menzione delle accuse».
La redazione del Nyt afferma di aver avuto accesso a «documenti aziendali e giudiziari» e di aver «parlato con più di tre dozzine di dirigenti e dipendenti di Google riguardo agli episodi, incluse alcune persone direttamente coinvolte nella vicenda. La maggior parte di loro ha chiesto di rimanere anonima perché vincolata da accordi di riservatezza o per timore di ritorsioni». Per quanto riguarda il creatore di Android, «la donna con la quale aveva avuto una relazione extraconiugale – prosegue il Nyt – ha affermato di essere stata costretta a fare sesso orale in una stanza d’albergo nel 2013, come riferiscono anche due dirigenti della compagnia che erano a conoscenze dell’episodio. Google ha indagato sulla vicenda e ha concluso che l’accusa della donna era credibile». Di qui la richiesta delle dimissioni di Rubin da parte dell’allora amministratore delegato Larry Page.
Di fronte alla bufera scatenata dall’inchiesta, l’attuale ad di Google, Sundar Pichai, ha inviato una lettera ai dipendenti, informandoli di aver licenziato 48 dipendenti, tra cui 13 dirigenti, per presunte molestie sessuali avvenute negli ultimi due anni, annunciando inoltre di voler dar corso a «una linea sempre più dura» sui cosiddetti «comportamenti inappropriati». Dopo aver appoggiato ogni campagna femminista e politicamente corretta, Google si ritrova dunque il marcio in casa, con numerose accuse di molestie sessuali. Una condotta disdicevole taciuta per anni e risolta con buonuscite milionarie. Ben diverso era stato invece il trattamento di James Damore, l’ingegnere che aveva «osato» rimproverare a Google di discriminare gli uomini nelle assunzioni e che, per questo, fu licenziato in tronco. Due pesi e due misure, dunque. Funziona così, nel mondo fatato e progressista di Google.
Valerio Benedetti
1 commento
Dovrebbero stare meno al computer e trovarsi un partner.