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Nomi, numeri e padrini dell’Opposizione Siriana

by Mattia Pase
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alnusra3Roma, 19 gen – A poche settimane dal quarto anniversario dell’inizio della rivolta, poi guerra civile, in Siria, uno degli aspetti più mediatici, eppure meno approfonditi, è la composizione della cosiddetta Opposizione Siriana. Si tratta, di fatto, di un insieme di gruppi, spesso in lotta fra di loro, e che fanno riferimento a modelli di governo di altri paesi arabi, che a loro volta vivono fasi di conflitto l’uno con l’altro, salvo unificarsi in presenza di un nemico esterno, che in genere è rappresentato dal mondo sciita (Iran, Hezbollah) o da movimenti politici che in qualche modo si richiamano al socialismo nazionale, come Saddam Hussein o Bashar Al Assad.

Il gruppo che ha avuto maggiore esposizione, soprattutto a partire dall’estate 2014, quando è riuscito a mettere in fuga intere divisioni dell’esercito iracheno, esportando così nell’Iraq la guerra civile siriana, è l’ISIS, o Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (o del Levante, a seconda della traduzione scelta). Poi semplicemente Stato Islamico, anche se dalla gran parte dei mezzi di informazione si continua a preferire la sigla completa. Di fatto, non è considerato parte dell’Opposizione Siriana, ma controlla una vasta porzione dell’est del Paese, oltre alla parte nordoccidentale dell’Iraq. Guidato dall’autoproclamato califfo Abu Bakr Al Baghdadi, che ha posto a Raqqa la sua capitale provvisoria, mira alla creazione di un califfato transazionale sui territori di Iraq e Siria, in un primo tempo, per poi espandersi all’intero mondo arabo. Questo Stato sarebbe governato secondo la più rigida interpretazione della Sharia, la legge islamica, e rappresenterebbe pertanto la realizzazione di uno dei sogni del “padre spirituale” Osama Bin Laden.

Difficile valutarne l’effettiva consistenza numerica, e infatti le stime più generose (quelle dei Curdi, che hanno ovviamente interesse a far sembrare la minaccia più grande di quella che è) ipotizzano circa 200.000 uomini, mentre quelle della CIA dicono che gli effettivi non dovrebbero superare le 30.000 unità. La stima più recente, pubblicata a metà dicembre dalla TASS, che riporta fonti militari russe, ipotizza circa 70.000 uomini. Molti di questi, forse 15.000, sarebbero stranieri, in maggioranza – secondo le inchieste del New York Times e del Middle East Monitor – Sauditi e Tunisini. Ufficialmente non godono di sostegni economici internazionali, ma sono riusciti a creare, all’interno del territorio che controllano, una fiorente economia, contrabbandando petrolio e altre risorse, come illustrato in questi mesi da diverse testate giornalistiche, fra cui Il Sole 24 Ore.

L’integralismo dello Stato Islamico è tale che l’altro attore a carattere profondamente religioso della guerra civile è considerato quasi un gruppo moderato. Si tratta di Jabat Al Nusra, ovvero la struttura militare istituita da Al Qaeda in Siria nel gennaio 2012. L’obiettivo è quello di creare uno stato islamico in Siria – a differenza dell’ISIS, Al Nusra intende mantenere una dimensione nazionale – dominato dai Sunniti, che rappresentano fra il 60 e il 70% della popolazione siriana. Quando è stato bollato come movimento terrorista dagli Stati Uniti, a fine 2012, svariati gruppi dell’Opposizione Siriana hanno protestato, sostenendo la causa di Al Nusra, nonostante le reali o presunte differenze ideologiche. All’epoca infatti l’ISIS non era ancora comparso sulla scena siriana come attore indipendente (gli uomini di Al Baghdadi combattevano congiuntamente ad Al Nusra, visto che entrambi rispondevano alla direzione di Al Qaeda, di cui erano la filiale, rispettivamente, irachena e siriana), e buona parte degli stranieri accorsi in Siria militavano sotto le insegne di Al Nusra, portando sul campo una preziosa esperienza militare accumulata nei conflitti iracheno e afghano, e rendendo quindi prezioso il contributo bellico del movimento.

Parte del prestigio di questo gruppo è stato scalfito proprio nella scissione avvenuta nel 2013 fra Al Baghdadi, che aveva nel frattempo costituito l’ISIS e Al Zawairi, capo di Al Qaeda, che aveva chiesto ai due movimenti di continuare ad operare sotto un’unica regia. Nonostante questa rottura, e a dispetto di un’entità numerica che non dovrebbe superare le seimila unità, rimane uno dei protagonisti principali della scena militare siriana, capace di assorbire diversi fuoriusciti dell’Esercito Siriano Libero che criticano l’attendismo dei loro generali, e di giocare un ruolo chiave nel tenere in qualche modo unito il fronte anti-Assad, dialogando con mille difficoltà sia con l’opposizione “moderata”, sia con l’ISIS.
Nonostante le smentite, diverse voci, echeggiate a più riprese su organi di informazione come il Telegraph e il Financial Times, hanno accusato il Qatar di appoggiare segretamente Al Nusra. L’importanza di un simile sostegno non sta soltanto nel supporto finanziario, ma anche e soprattutto nel fatto che la potente emittente satellitare Al Jazeera è di fatto controllata dagli emiri di Doha.

Meno segreto, anche se non ufficialmente confermato, è il legame che unisce l’Arabia Saudita al Fronte Islamico, sigla nata nel 2013 e che raggruppa un mezza dozzina di movimenti islamisti. Nonostante qualche dissapore con gli altri movimenti d’opposizione, combatte insieme ad essi (soprattutto nei settori di Aleppo, Latakhia e Damasco), e si contrappone all’ISIS. Conterebbe, a seconda delle fonti, su un numero di uomini armati compreso fra i 40.000 e i 70.000. Fautore della creazione di uno stato fondato sul modello saudita, è comunque diviso al suo interno fra le varie correnti che lo compongono, per cui è difficile identificare una chiara e univoca posizione di carattere politico da parte del Fronte.

La forza militare principale che combatte a fianco del Fronte Islamico e – a fasi alterne – Jabat Al Nusra, è, o dovrebbe essere, l’Esercito Siriano Libero (ESL), formato nel luglio 2011 (quattro mesi dopo l’inizio delle prime rivolte) da ufficiali disertori dell’esercito regolare. Il ruolo dominante avuto dall’ESL nella prima fase del conflitto è stato progressivamente minato dalla radicalizzazione in senso religioso del confronto fra Governo e Opposizione, e dalla conseguente nascita e crescita dei già citati gruppi integralisti che hanno occupato diverse aree del Paese, scontrandosi con lo stesso ESL.

Gli esiti più drammatici per l’esercito degli oppositori di Assad si sono avuti con l’esplosione del fenomeno ISIS, che ha costretto l’ESL sulla difensiva non solo nei confronti dell’esercito regolare ma anche dei Jihadisti. Quando poi gli Stati Uniti, sull’onda dell’emozione per l’avanzata integralista in aree cristiane e curde della Siria, hanno deciso di intervenire con bombardamenti aerei contro l’ISIS e altri gruppi integralisti, hanno di fatto paralizzato l’attività militare dell’ESL. Questa immobilità ha spinto centinaia di miliziani ad abbracciare le bandiere dell’ISIS o di Al Nusra, abbandonando l’ESL che, stando alle stime del Wall Street Journal, avrebbe non più di 40 o 50.000 uomini fra le sue fila.

Una dimensione che, anche ipotizzando una vittoria delle opposizioni sul Regime di Assad, non darebbe alcuna garanzia di tenuta nei confronti della probabile successiva guerra civile fra laici e integralisti. La debolezza dell’ESL ha inoltre portato a una riduzione dei fondi stanziati dagli Stati Uniti e da altri Paesi, occidentali e arabi, per supportarne le attività, rafforzando ulteriormente i gruppi islamisti che godono del sostegno delle monarchie del Golfo, e che evidentemente esercitano una maggiore attrattiva su coloro che cercano di rovesciare il governo.

Questa debolezza, a sua volta, sta indebolendo la causa dell’Opposizione, visto che l’esempio libico, con una guerra civile latente che prosegue oramai da diversi anni, lascia intendere che, in caso di caduta del Regime, non sarebbe possibile trovare alcun accordo fra estremisti e moderati. Poiché la realtà demografica e religiosa della Siria è molto più complessa, e più esplosiva, di quella della Libia, una vittoria degli oppositori di Assad porterebbe a un conflitto ancora più sanguinoso di quello che da quattro anni devasta la regione. E, stando alle forze in campo, i più accreditati a spuntarla sarebbero proprio i gruppi Jihadisti.

Mattia Pase

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