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Il nuovo risiko/2: la corsa allo spazio

by Eugenio Palazzini
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ddddRoma, 11 mar – L’universo è forse infinito, ma non è mai stato così affollato. La partita strategica del terzo millennio si gioca oltre i confini terrestri e le squadre in campo danno vita ad una competizione sempre più agguerrita soprattutto grazie alle compagini orientali. Dalla caduta dell’Unione Sovietica sei paesi asiatici sono riusciti a lanciare in orbita un satellite: Cina, Iran, India, Israele, Giappone e Corea del Nord. Altri sei hanno avviato programmi spaziali propri: Corea del Sud, Indonesia,Taiwan, Pakistan, Malesia e Turchia. L’India punta a lanciare i primi esseri umani nello spazio nel 2015, Giappone ed Iran credono di riuscirsi entro il 2025. Il primo paese in assoluto ad aver centrato l’impresa è stato la Cina nell’ottobre 2013, ma si tratta soltanto delle prime battute extraterrestri.

Quella allo spazio non è però una nuova gara strictu sensu ma una sfida lanciata dalle potenze emergenti del pianeta terra innanzi tutto per mostrare la propria competitività nel campo che più di ogni altro marca la differenza di sviluppo militare e traccia un solco che separa nettamente i paesi con una visione strategica propria da quelli che continuano ad affidarsi, per scelta o per impotenza, all’egida atlantica.

Ma non si tratta soltanto di questo, nessuna nazione o quasi è disposta ad investire cifre colossali semplicemente per farsi notare o per lanciarsi in improbabili competizioni belliche. L’adagio di Asimov: “non voglio armi nello spazio” appare oggi un fievole monito. Puntare allo spazio non significa più dar vita ad una mera espansione militare, significa impiegare risorse economiche copiose scommettendo su ritorni inimmaginabili nei campi della meteorologia, delle comunicazioni e dello spionaggio. Ed un obiettivo ancora più ambizioso riguarda i metalli e le pietre extraterrestri essenziali per lo sviluppo delle nuove tecnologie che spingono verso una sorta di corsa all’oro del terzo millennio. Certo la competizione in questo caso non può essere sempre unilaterale e formare alleanze risulta sovente imprescindibile. Per accrescere le probabilità di successo ed ampliare le potenzialità tecnologiche in molti casi sono state create alleanze strategiche specifiche contemporaneamente a momenti di scontro su altri campi. Basti pensare all’asse russo-cinese che ha dato vita a collaborazioni proficue con l’Agenzia Spaziale Europea e il Brasile.

Il Giappone al contrario sembra essere l’unico paese in vena di invertire il trend, se infatti fino ad oggi ha quasi sempre dovuto contare sull’appoggio statunitense, la rinnovata ambizione militare di Tokyo ha dato vita ad un programma che prevede di portare i primi nipponici sulla Luna entro il 2025 e l’Agenzia Spaziale Giapponese punta a lanciare sul nostro satellite un robot umanoide in grado di avviare piani di ricerca scientifica innovativi.

Se al momento il gap con gli Stati Uniti, soprattutto dal punto di vista tecnologico, appare per chiunque lontano dall’essere colmato, è altrettanto vero che Washington sta facendo i conti con un drastico ridimensionamento della spesa per gli armamenti e per l’industria aerospaziale. Lo dimostra anche il fatto che gli americani intenti a cercare la vita su Marte hanno dovuto chiedere aiuto, non propriamente regalato, alle navicelle russe Soyuz per raggiungere la loro stazione spaziale. Questo non significa che il monopolio Usa sia messo ancora in discussione, né che vi sia una gara a due come ai tempi della guerra fredda. C’è ancora un evidente dominio statunitense nel campo aerospaziale ma come abbiamo mostrato per quanto riguarda la corsa agli armamenti in un precedente articolo la situazione sta lentamente cambiando.

Il futuro è incerto ma all’orizzonte anche l’universo ci appare sempre più multipolare.

Eugenio Palazzini

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