Home » “Il parmigiano? E’ del Wisconsin”. Le fake news autorazziste del prof. Grandi finiscono sul Financial Times

“Il parmigiano? E’ del Wisconsin”. Le fake news autorazziste del prof. Grandi finiscono sul Financial Times

by Cristina Gauri
3 comments
parmigiano

Roma, 27 mar — «Il vero parmigiano reggiano? Si fa nel Wisconsin». «La cucina italiana? Piena di bufale costruite dal marketing». La bufera social si è abbattuta sul Financial Times che ha pubblicato l’intervista, ma gli accidenti online sono tutti per un italiano: Alberto Grandi, docente di storia economica e storia dell’alimentazione all’Università di Parma. Intervistato dalla giornalista Marianna Giusti si è esibito in un imbarazzante capolavoro di gretta anti italianità, da bravo e ligio soldatino delle armate autorazziste che godono nel tentare di scardinare cultura e tradizioni del Paese in cui vivono, e che dimostrano quotidianamente di odiare.

Le sparate anti italiane del professor Grandi 

Grandi è il tipico personaggio che dello smontare la tradizione italiana ha fatto una missione; ha pure lanciato il podcast Denominazione di Origine Inventata, arrivato alla terza stagione. «La specialità di Grandi è fare affermazioni audaci sulle pietanze nazionali — spiega Giusti —. Lui sostiene che la maggior parte degli italiani non aveva sentito parlare della pizza fino agli anni Cinquanta e che la carbonara è una ricetta americana». Ma sappiamo che la prima ricetta della pizza Margherita risale al 1889… Risulta chiaro a tutti che un malgaro della Val Trompia negli anni ’40 difficilmente avrebbe potuto conoscere la pizza marinara: ma la ricetta già esisteva.

La Giusti ci fornisce poi un’informazione interessante: la maggior parte delle affermazioni espresse nel podcast «si fonda sulle scoperte di Grandi, sviluppate sulla base della letteratura accademica». Ma, come vedremo, all’insigne docente sono «sfuggite» pile e pile di documentazioni. «La sua missione è distruggere le fondamenta su cui noi italiani abbiamo costruito la nostra famosa e notoriamente inflessibile cultura culinaria», chiosa la giornalista gongolando. Lasciamola pure sfondarsi di fish and chips ...

Il parmigiano? E’ del Wisconsin 

La disamina sul parmigiano è particolarmente grottesca. «Forme di venti chili, tutte nere, tendenzialmente era un formaggio più grasso di come è oggi. Il Parmesan è nato circa cento anni fa, negli anni Venti, in America su iniziativa di alcuni casari italiani che lo producevano nello stesso modo in cui veniva fatto da noi all’epoca. Il Parmesan non è un caso di “Italian sounding” e di contraffazione. Il Parmigiano si è evoluto negli anni ma se volessimo mangiare quello che mangiavano i nostri nonni, il Parmesan è sicuramente più vicino all’originale. Mi ha colpito molto il fatto che uno dei più antichi caseifici del Wisconsin si chiami Magnani, cognome molto diffuso in provincia di Mantova e nella pianura Padana».

Trasandatezza accademica

Speriamo per il professore che si tratti di uno spiacevole caso di «trasandatezza accademica»: Grandi, evidentemente acciecato dall’odio per la cultura e le tradizioni della sua terra, e dalla smania di contribuire alla disintegrazione della nostra identità (tratto comune a molti debunker di professione), si è fatto «sfuggire» degli interessanti documenti che attestano attorno al 1200 le prime testimonianze relative alla commercializzazione del parmigiano, in un atto notarile redatto a Genova nel 1254, dove gli venne dato il nome di caseus parmensis (il formaggio di Parma). Nel 1200, quando cioè in America si mangiavano bisonti.

Le origini del Parmigiano Reggiano risalgono al Medioevo e sono indicate intorno al XII secolo: i primi caselli (caseifici) sorsero nei monasteri benedettini e cistercensi di Parma e di Reggio Emilia. Che la lavorazione di parmigiano (come ogni tipo di produzione casearia) abbia subito sostanziali modifiche nel corso dei secoli, dovute alle innovazioni tecniche, risulta chiaro anche a un bambino delle elementari. Un po’ meno, evidentemente, al professor Grandi: vogliamo di tutto cuore escludere che si tratti di malafede…

Cristina Gauri

You may also like

3 comments

SergioM 28 Marzo 2023 - 12:31

Ma sto STRONZO IGNORANTE non è stato ancora licenziato ???????

S’ azzardi a dire che i pizzoccheri ed il Bitto ed il Casera sono amerikanki che gli tiro un calcio in culo che lo spedisce diretto nei suoi amati Estados Unidos !!!!!
Che lo PAGANO per dire ste cazzate !

Spero che almeno le merde dei loro formaggi non siano fatte con succo di grillo ……

Gli americanski credono :
Che la terra abbia 4.000 anni ….. dalle mie parti ci sono resti di edifici di + di 8.000 anni fa ……
Che a terra sia piatta
i dinosauri sono dei falsi ….
la pizza l’ ha inventata un tale sig. HUT in america …..

ed hanno appena licenziato una prof perchè ha mostrato il David e immagini della Cappella Sistina , considerate PORNO !!!!
Doveva mostrare una foto di Rocco Siffredi ! Orgoglio ITALIANO ……

Senza contare le loro stupide sette religiose ….

E non hanno inventato NULLA !
SE hanno raggiunto la luna è grazie ad un colonnello delle SS
I computer PC sono opera di un Iraniano ed un Polacco …
l’ IBM lavorò in Germania …. sempre con le SS ……
ed il vino , appena decente , è opera di vignaiuoli messicani (napa)
molto meglio nelle americhe quello Cileno .

Spero che il nostro governo non ci trascini in guerra con sti IDIOTI , che dopo 27
anni hanno PERSO contro un popolo che combatteva calzando le infradito e con
elmetti di bambù …… (Indocina)

Reply
E. 29 Marzo 2023 - 8:26

La cultura e le tradizioni, cara Cristina, sono frutto di evoluzione e contaminazione, che lo vogliamo o no. Contaminazione straniera (oddio che paura), novità, rivoluzioni. Il pomodoro era una novità nel 1.500, chissà quanto rumore avranno fatto i custodi della tradizione allora.

Fare ricerca storica non significa odiare le tradizioni, significa fare ricerca storica. Che a Parma si producesse un formaggio rinomato fin dal medioevo lo sappiamo,Alberto Grandi nel suo studio ci spiega che era molto diverso da oggi, ovvero forme estremamente più piccole (7 kg circa contro i 40 attuali, grande poco più di un pecorino insomma) e rivestito di una pellicola vegetale nera. Gli immigrati parmigiani negli Stati Uniti hanno continuato a farlo così, mentre in Italia si sono sviluppate tecniche (fighissime, io sono di Parma, amo alla follia) uniche al mondo che permettono una determinata la lavorazione. Nel secondo dopoguerra, comunque.
Dire che quello che producono le quinte seste generazioni nel Wisconsin sia più simile all’originale non offende la cultura italiana e la tradizione gastronomica. È analisi delle fonti storiche.
La gastronomia del territorio è evoluzione continua, accettiamolo.

Che la carbonara non sia un piatto della tradizione romana secolare ormai credo sia un fatto accettato da chi studia gastronomia.

La pizza stessa non è un’invenzione, ma una rielaborazione di decine di ricette di origine medio orientale (oddio che paura). E all’inizio era fritta. La cultura gastronomica napoletana è sopratutto cucina di recupero e di strada.

Mio nonno, parmigiano del sasso, fino al secondo dopo guerra non aveva neanche mai visto mezza fetta di prosciutto. Mangiava riso. Sì, riso! Bollito, con le verze. Oppure le acciughe, perché sì la tradizione parmigiana era quella. E pecora, mica maiale.

Ma tanto non capiremo mai il valore del cambiamento e della contaminazione.

Ditemi, in quale momento della storia mettiamo un segnalibro e decidiamo che tutto ciò che è successo prima è cultura millenaria e ciò che succede dopo è invasione?

Perché non possiamo accettare che la nostra cultura gastronomica sia il risultato di secoli di cambiamenti? Sì, anche causati dagli americani durante la guerra.

Non c’è niente di male, sapete, ad accettare che tante nostre tradizioni non siano millenarie. Non viviamo come gli antichi romani, ci siamo evoluti. Non è offensivo né denigratorio analizzare e rivalutare la storia. Anzi, riconoscere nella propria cultura il risultato di evoluzione e contaminazione credo sia elevarla.

Mi sembrate i politici di sinistra negli anni ’60-’70 quando Renzo de Felice per prim fece analisi approfondite sul fascismo e lo studiò a fondo, cogliendone e spiegandone le ragioni attraverso l’analisi della società italiana. Da sinistra gli hanno dato del neo-fascista fino alla morte, quando era tutt’altro.

Molto tenero anche il commento del signor SergioM, che denota tra l’altro una conoscenza profonda del mondo del vino. Lo sa, signor Sergio, che in California e Oregon si coltiva soprattutto Merlot, Cabernet, Syrah, Pinot Nero, Chardonnay, Nero d’Avola, Primitivo, Grenache (ovvero cannonau)? Lo sa che la storia vitivinicola degli Stati Uniti è vecchia di almeno due secoli, e che è stata avviata soprattutto da Italiani e Francesi? Lo sa oggi si producono diversi vini (naturali, tradizionali, veri) che non hanno nulla da invidiare ai grandi italiani e francesi, dato che sempre più i vignaioli di tutto il Mondo si parlano e si confrontano e crescono insieme nella direzione della qualità del vino e del rispetto dell’ambiente? Perché dobbiamo per forza denigrare gli altri, di cosa abbiamo paura? Di perdere quale primato?

Io lavoro da decenni proprio in questo: sul commercio dei grandi prodotti alimentari e dei grandi vini. Italiani, Francesi, Sloveni, Austriaci, Tedeschi, Greci, Spagnoli. Il vino in fondo è nato in Medio Oriente, terra da cui la vite è originaria. Mica in Italia e Francia. Questo significa odiare il territorio? No, significa riconoscerne l’evoluzione straordinaria. È offensivo il fatto che i vignaioli francesi, italiani, californiani, australiani, cileni si confrontino, visitino le rispettive produzioni e imparino reciprocamente a migliorarsi?

Ma in fondo forse meglio così. Più dogma commerciale di finta tradizione per voi, più prodotti veri e emozionanti per noi.

Che tristezza oscurare la ricerca storica in nome della tifoseria.

Baci

Reply
fabio crociato 30 Marzo 2023 - 1:27

Il commento di E. mi appare assai realista, a suo modo completo, pratico e commerciale.
Ma c’è un però sul quale mi piacerebbe sapere da lui qualcosa di più.
In sintesi, perché è vero che mangiamo per vivere ma non viviamo per mangiare, è bene spiegare come mai i vini danno il max sul posto e non trasportati e bevuti altrove, come mai c’è chi interpreta al meglio una cucina senza tempo (su quest’ ultimo aspetto concordo), come mai certe terre rendono (da sole?) diversamente e meglio, come mai certi microbi non ci sono più al punto che p.es. certi formaggi non sono più realizzabili. A proposito, il parmigiano, non molto tempo fa era ben diverso e migliore (questione di microbi nano o mega microbi-pseudo umani ?).
Si potrebbe poi passare agli “additivi-modificanti”, di ogni genere e grado, utili per fatturare, prendendo un po’ per il naso (o, peggio, giocando sulla salute altrui), il profano del sapore (categoria in espansione globalista), ma preferisco, senza baci, complimentarmi per il nonno suo di gran lunga più in gamba…
(Consiglio, “in purezza”: non mischiare uvaggi con denominazioni).

Reply

Commenta

Redazione

Chi Siamo

Il Primato Nazionale plurisettimanale online indipendente;

Newsletter

Iscriviti alla newsletter



© Copyright 2023 Il Primato Nazionale – Tutti i diritti riservati