Roma, 28 mar – L’Ue sostiene di voler aiutare la Tunisia. Almeno, questo dichiara il commissario Ue agli affari economici Paolo Gentiloni. Ma il “modus operandi” con cui intende farlo storicamente non è che abbia portato chissà quali risultati (per essere gentili). Il mantra è sempre lo stesso: “soldi in cambio di riforme”. Le “riforme”, però, troppo spesso – per non dire sempre – significano austerità, indebitamento perenne e radicalizzazione dell’impoverimento. Con tutti i danni che ne conseguono per un Paese confinante come il nostro.
Come l’Ue dice di voler aiutare la Tunisia
Gentiloni esordisce così, dopo l’incontro con il presidente tunisino Kais Saied: “La Commissione è pronta a prendere in considerazione un’ulteriore assistenza macrofinanziaria se saranno soddisfatte le condizioni necessarie. La prima condizione è l’adozione da parte del Fmi di un nuovo programma di esborso. È essenziale che che ciò avvenga il prima possibile”. Poi aggiunge un classicone: “La Tunisia non sarà lasciata sola”, seguito da un altro classicone riguardante “l’occasione per riaffermare il nostro impegno nei confronti dei valori della democrazia, dell’inclusione e dello Stato di diritto”. Da Washington, intanto, approvano: “Sosteniamo la stabilità economica della Tunisia e quindi sosteniamo la conclusione del programma proposto dal Fmi”, dice un portavoce del consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca. Di cosa si parla? Di un prestito 1,9 miliardi di dollari. A quale costo, nei decenni futuri, per i tunisini ma in realtà anche per gli italiani?
Il solito tunnel senza fine, però, è dietro l’angolo: e non è proprio il momento
Per ragioni abbastanza diverse da quelle libiche, dove la destabilizzazione e frantumazione politica ha successivamente condotto al collasso economico, la Tunisia rischia seriamente di diventare una “terra di nessuno”, un buco nero di prestiti e indebitamenti i quali non farebbero altro che peggiorare e consolidare l’esplosione migratoria che stiamo subendo negli ultimi giorni. Una “Libia 2.0”, che si aggiungerebbe all’originale, di cui non abbiamo proprio bisogno. Il già citato “modus operandi” dei “prestiti in cambio di riforme” non appare esattamente come quello ideale perché a parte qualsiasi giudizio etico sul tema, non è proprio il momento di indebitare gli altri. Sarebbe opportuno invece costruire, investire e generare relazioni socio-economiche proficue davvero. Non si tratta di banale e retorico dirittoumanismo solidale, ma di una necessità sociale e politica che corrisponde realmente all’interesse italiano ed europeo.
Dalle parti di Bruxelles, però, non sembrano comprendere molto le lezioni della storia. Non sembrano avere molta sensibilità per i disastri sociali (e pure qui stiamo usando toni fin troppo gentili). Di conseguenza è difficile essere ottimisti sul fatto che possano comprendere quanto non sia esattamente il caso di generare una sorta di “Grecia del Nordafrica”. Ponendo la questione in modo netto: va evitato assolutamente. Altro che prestiti, indebitamenti e disoccupazioni: perché a pagarne le spese saremmo tutti, nessuno escluso.
Stelio Fergola
2 comments
“Soldi in cambio di riforme”? Allo stato attuale dei fatti, riforme=corruzione per l’ avvento di una classe egemone servile perlopiù a danno della popolazione locale.
Sempre più preoccupante e grave ciò che possono fare dietro, intorno, davanti a lui.