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Il Ttip e la reale posta in gioco in Europa

by La Redazione
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euro ttipRoma, 19 lug -Siamo stati fra i primi a porre in Italia il problema del Ttip, ovvero dell’accordo di libero scambio fra Usa (con Canada e Messico) ed Unione Europea, che metterebbe di fatto i singoli governo nelle mani di tribunali sovranazionali facenti gli interessi delle multinazionali. Avevamo adombrato la costituzione di una “moneta transatlantica” per dare consistenza anche valutaria al trattato e favorire così (come del resto con l’Euro) la circolazione internazionale dei capitali.
Quello che ignoravamo è che, di fatto, questo non è in realtà necessario. Chi vuole approfondire particolari tecnici può leggersi questo articolo di Luciano Barra Caracciolo, membro della Corte dei Conti e studioso di diritto costituzionale. Il sunto è semplicemente che la Commissione ha in ogni caso il potere di fissare un peg, ovvero una banda d’oscillazione più o meno stretta, fra una divisa straniera (come il dollaro) e tutte le divise dell’Ue, quindi sia dell’eurozona che al di fuori di essa.
Ora capiamo perché il Regno Unito vuole sfilarsi dall’Ue entro il 2017: non perché improvvisamente Cameron sia diventato dirigista e protezionista, ma semplicemente perché ha il buon senso di voler trattare il proprio accordo di libero scambio autonomamente e mantenendo una politica valutaria sovrana.
Le considerazioni politiche di questo fatto sono vastissime. In primo luogo, chi ancora pensa che esista un epico scontro in Europa fra tedeschi e angloamericani, e che quindi attaccando l’euro e l’Ue si faccia di fatto il gioco dei secondi, è un illuso. Con il Ttip, unito al peg valutario, la Germania sostanzialmente rimarrebbe l’unica grande potenza manifatturiera in Europa, mentre i capitali americani sarebbero liberi di invadere il mercato delle economie devastate dalla sua ottusità.
Il peg valutario sostanzialmente consentirebbe (come l’euro “forte”) di fare man bassa delle imprese italiane, dei suoi beni demaniali ed anche, in prospettiva, del nuovo settore dei servizi privatizzato, ovvero quello della sanità e delle pensioni.
In secondo luogo, si sta realizzando compiutamente quel Brave New World mondialista che tanto abbiamo adombrato, e che fu esplicitamente e pubblicamente teorizzato dai massimi araldi dell’utopia europeista: Hayek, Spinelli, Coudenhove-Kalergi, ecc…
Tanto per fare un esempio: nel 1972, all’Accademia Militare di Modena, Eugenio Cefis (fondatore della P2, capo dell’Eni dopo Mattei, corruttore impenitente di tutto e tutti in particolare in ambito Pci) tenne un discorso dal titolo significativo di “la mia patria si chiama multinazionale”. In pratica, si adombrava semplicemente, e con lucida decisione, la struttura stessa del Ttip, cioè della subordinazione delle politiche nazionali ai desiderata delle lobbies, ovviamente all’interno di un “superstato europeo”.
Chi sostiene l’Ue, quindi, chi sostiene l’euro, anche solo chi critica chi adombra una prospettiva sovranista, è dalla parte di Cefis. Sovranismo oppure mondialismo, non vi è alternativa possibile.
Ecco perché uscire solo dall’euro è una proposta monca, senza alcun senso. Ciò che serve è smantellare l’Ue e recuperare il pieno controllo politico sulla nostra economia, ma anche e soprattutto sulla nostra politica estera, pericolosamente esposta a Washington.
Non è il momento dei riformismi. È il momento della guerra.
Matteo Rovatti

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