A riportare le sue teorie è il Giorno, che spiega quale è il metodo che Postol ha utilizzato per smontare la verità ufficiale. Riportiamo fedelmente. “Usando la geometria planetaria e misurando l’ombra di un reporter completamente privo di protezioni vicino a un cratere scavato da un missile che è atterrato su una strada, Postol stabilisce che l’attacco è avvenuto attorno alle 7 e 30 del 4 aprile. La foto del giornalista è stata scattata alle 10 e 50. Secondo il professore del Mit le vittime sarebbero arrivate all’ospedale di Khan Sheikhoun fra le 9 e le 10 e 30. Il vento avrebbe dovuto scagliare la nuvola venefica del gas su un villaggio a circa 300 metri dal cratere, ma non è stata mandata in onda nessuna immagine della carneficina che avrebbe dovuto provocare in quel piccolo centro abitato”.
Del resto il presidente Assad ha sempre rispedito al mittente le accuse di aver usato le armi chimiche: “È una montatura, al 100 per cento”, aveva detto all’agenzia Afp, ribadendo che Damasco “ha consegnato tutte le armi chimiche” in suo possesso, in base all’accordo con l’Onu del settembre 2013, dopo l’attacco chimico di Goutha e che “Anche se avessimo ancora armi di quel tipo, non le useremmo”.
Fin da subito la versione data dai ribelli era piena di buchi, che gli esperti hanno subito evidenziato. Prima di tutto, i testimoni hanno riferito di una nube «rossastra» e dell’odore «di frutta andata a male», ma il Sarin è incolore e inodore. Secondo Postol, infine, i resti degli ordigni fotografati facevano pensare più a proiettili di artiglieria che a bombe.