Tashkent, 25 nov – Se l’autunno non vi aggrada, non mettetevi in testa di trasferirvi un giorno in Uzbekistan.
Altro che semplici piogge e temperature rigide: nel paese asiatico, infatti, ottobre e novembre sono i mesi dedicati ai “lavori forzati“.
No, non è uno scherzo.
È che, grazie ad una “tradizione” ereditata dall’Unione Sovietica, nei mesi autunnali circa un milione di impiegati statali uzbeki sono obbligati dallo Stato a lasciare tutto per andare nei campi a raccoglier cotone.
Medici, insegnanti, infermieri e, fino a poco tempo fa, anche tantissimi studenti sotto i 15 anni (ora, qualcuno in meno, tra cui soprattutto universitari).
Direte voi: a tanti studenti ed impiegati statali italiani non farebbe male un po’ di lavoro “forzato”.
Questo è sicuro ma, fuor d’ironia, la situazione da quelle parti è molto più seria, e non solo a causa della piaga del lavoro minorile che, nonostante le rassicurazioni, ancora oggi dilaga.
«Dopo la disgregazione dell’Urss – spiega “The Economist” -, le terre uzbeke sono state privatizzate, ma in assenza di una riforma sostanziale i proprietari terrieri sono rimasti di fatto vincolati allo stato». Così, lo stato stabilisce le quote regionali di produzione e, «dato che i contadini non possono pagare altra manodopera, i funzionari ordinano agli impiegati statali, inclusi medicini, infermiere e studenti – in passato anche bambini di nove anni, secondo l’osservatorio dei diritti umani – di andare a lavorare nei campi».
«A volte minacciate con l’espulsione, il licenziamento o la violenza fisica», scrive ancora il quotidiano britannico.
«Il cibo offerto dallo Stato – scrive Asia News – è scarso e nelle scuole adibite a dormitorio spesso mancano i posti letto e così molte persone affittano a proprie spese degli alloggi». «Per raggiungere il campo – spiega un’intervistata – dobbiamo alzarci alle quattro del mattino. La giornata termina alle 18.00 con il tramonto. Ogni gruppo deve raggiungere una certa quota di cotone. Noi eravamo obbligati a raccogliere 60 kg al giorno. Più di una volta non siamo riusciti a raggiungere la quota e abbiamo acquistato quanto mancava da altri gruppi».
Solo così, infatti, lo stato ha a disposizione cotone da vendere a bassissimo costo per fare cassa. Così, per l’anno in corso, ben l’83% del cotone sarà acquistato da Cina e Bangladesh, due paesi che già da tempo hanno fiutato l’affare, con buona pace dell’utopia della concorrenza perfetta nel mercato globale.
Infatti, grazie a questa poco lusinghiera usanza, l’Uzbekistan è ancora oggi il quarto esportatore di cotone al mondo, dopo Stati Uniti, India, Australia e prima del Brasile.
Emmanuel Raffaele