Roma, 17 mar – Non paga di aver fomentato la guerra civile in Siria, sostenendo prima l’Isis, poi i cosiddetti ribelli moderati (quelli che, per limitarci agli ultimi giorni, hanno causato decine di morti a Damasco con diversi attentati contro obiettivi civili), entrando infine in territorio siriano rivendicando il possesso di Aleppo – e Mosul, in Iraq – la Turchia si è ora messa in testa di profetizzare, o provocare, la guerra santa in seno all’Europa. La sconcertante dichiarazione è stata fatta dal Ministro degli Esteri turco in persona, Mevlut Cavusoglu, vicinissimo al presidente Erdogan, come “diplomatico” commento all’esito delle elezioni olandesi, vinte da quello che in questi giorni è il nemico numero uno di Ankara, Mark Rutte, reo di aver negato ad esponenti del governo turco la possibilità di fare campagna elettorale fra i turchi d’Olanda per il referendum che di qui a un mese dovrebbe trasformare il paese anatolico in una democrazia presidenziale.
La partita, ovviamente, è molto più grande, e vede la Turchia alla disperata ricerca di una nuova legittimazione internazionale, dopo che il fallito colpo di stato del luglio 2016, e le relative purghe, hanno rafforzato internamente ma indebolito all’estero la posizione di Erdogan. La stessa campagna di Siria, iniziata positivamente con la liberazione di Jarabulus dal controllo dell’Isis e proseguita senza troppi intoppi fino a pochi giorni fa, quando una fulminea azione dell’esercito Siriano ha sbarrato la strada di Raqqa alle forze turche, sembra in procinto di trasformarsi in un boomerang politico. Stando ai rapporti più recenti, infatti, le mosse turche hanno portato a un netto avvicinamento fra Damasco e la minoranza curda, che in un futuro non troppo remoto potrebbe sfociare, con il placet di Russi e Americani, nella creazione di un’entità autonoma curda all’interno della Siria. Qualcosa di simile a quanto è accaduto in Iraq, con la differenza che nel Kurdistan iracheno il potere è in mano a una fazione filo-turca, mentre in Siria è dominante un gruppo molto vicino al PKK, che da decenni combatte contro il governo di Ankara.
La frustrazione dei Turchi si è così rivolta all’Europa, visto che prendersela apertamente con Washington e Mosca non è al momento un’opzione praticabile (dopo aver abbattuto un Mig russo in Siria Ankara se l’è vista davvero brutta, ed è tornata a più miti consigli), con lo sfogo del ministro degli esteri che ha parlato dell’imminente scoppio di un jihad nel Vecchio Continente. Toni che non si sentivano dai tempi dell’assedio di Vienna del 1683, ma che non devono essere presi troppo alla leggera se si considera che all’interno dell’Unione Europea vivono più di cinque milioni di Turchi. E’ fin troppo evidente che non ci sia da aspettarsi una loro improvvisa rivolta, ma la dichiarazione mira chiaramente ad alzare il livello della tensione verso i Turchi e verso gli islamici residenti in Europa, in modo da portare a una ulteriore destabilizzazione dei Paesi europei, che permetta alla stessa Turchia di fare in un secondo tempo da paciere e quindi da interlocutore privilegiato. Per quanto fittizia sia la provocazione, vanno tenute in considerazione le relazioni intercorse fra Ankara e l’Isis, e l’attuale collaborazione con la galassia jihadista in Siria, che potrebbero portare a conseguenze ben più drammatiche della farsesca espulsione di quaranta innocentissime vacche olandesi dal suolo turco.
Non è ancora tempo di rispolverare l’antico “Mamma li Turchi”, ma probabilmente neanche di sbracare, come farà (c’è da giurarci) l’Europa, cercando di evitare qualsiasi problema che ne metta in discussione la sua funzione primaria, quella di puro e semplice comitato d’affari. Anzi, non è escluso che con questa sparata, che a parti rovesciate sarebbe stata accolta dal suono delle scimitarre, la Turchia faccia un passo avanti verso l’ingresso nell’Unione Europea.
Mattia Pase