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Nazionalismo "tattico" o nuovo imperialismo? La politica economica secondo Trump

by La Redazione
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Washington, 6 set – Nel corso della propria vita professionale, Trump ha mostrato di saper fare uso dei rapporti di forza per meglio condurre a proprio vantaggio i negoziati e incutere nei suoi interlocutori un certo senso di inferiorità. Da quando è divenuto Capo di Stato, ha fatto uso anche in politica di quelle maniere brutali, che ne avevano decretato il successo nel mondo degli affari.
I suoi modi sorprendono ancora alcuni commentatori, sebbene siano ormai abbastanza prevedibili. Si tratta in ogni caso della ragione per cui Trump preferisce le relazioni bilaterali piuttosto che i negoziati multilaterali. Il suo slogan «America first» si traduce in un’esplicita affermazione di nazionalismo economico. Si tratta di una sorta di ritorno a un isolazionismo economico, dettato dalle circostanze attuali e dal rimescolamento dei rapporti di forza internazionali. Bisogna d’altra parte ammettere che Donald Trump ha aperto il fronte di una guerra commerciale che somiglia alle lotte economiche, condotte attraverso l’uso di embarghi e diritti doganali, e sviluppatesi prima dell’istituzione del WTO. In altri termini, malgrado gli USA siano passati dall’imperialismo ad un nazionalismo tattico, la preservazione degli interessi e strategici di fronte all’emersione della potenza cinese occupa più che mai il centro delle preoccupazioni di Washington.
Usando dei meccanismi doganali, gli Stati Uniti hanno imposto nuove tasse sulle importazioni di acciaio ed alluminio, rispettivamente del 25% e del 10%, allo scopo di ridurre il proprio deficit commerciale e proteggere i livelli occupazionali del Paese. A tale scopo, Donald Trump tenta di piegare i propri alleati alle proprie regole  commerciali, destinate a preservare il Made in USA. È pronto ad affrontare il rischio di perdere 12,6 miliardi di dollari nei confronti del Canada, pur di rinegoziare l’accordo di libero-scambio NAFTA. D’altra parte, gli USA minacciano l’Europa ed in particolare la Germania di imporre nuove tasse sull’importazione dei loro veicoli, al fine di costringerli ad una rottura con la Russia e ad abbandonare i progetto di costruzione del gasdotto Nord Stream II. Gli americani temono infatti che aumenti la dipendenza europea nei confronti dell’energia russa, la quale si tradurrebbe in un restringimento del mercato di sbocco per i produttori americani di gas liquefatto.
Per quanto riguarda il ritiro dall’accordo nucleare con l’Iran ed il controllo della produzione petrolifera, gli Stati Uniti giustificano la denuncia di questo accordo con la necessità di stabilire un controllo più efficace sulla militarizzazione del programma nucleare iraniano e più in generale stabilizzare il Medio Oriente, limitando la capacità di ingerenza iraniana nell’area, specialmente in Siria. Inoltre, il ritiro americano dal Joint Comprehensive Plan of Action ha come scopo secondario di soddisfare gli interessi dell’Arabia saudita, con la quale gli USA hanno strette relazioni diplomatiche. In primo luogo, contrariamente ad una comune credenza, l’arricchimento dell’uranio è insufficiente allo stato attuale a permettere all’Iran di dotarsi della bomba nucleare. Bisogna poi constatare che un embargo non ha mai fatto cambiare un regime. Al contrario, esso rischia di radicarlo ulteriormente attraverso un aumento dei suoi poteri di controllo sulla popolazione. Inoltre, il corpo dei Guardiani della Libertà avrà la possibilità di arricchirsi ulteriormente attraverso il contrabbando, favorito dal blocco economico. La denuncia americana del trattato genererà delle ripercussioni economiche disastrose per le imprese europee in particolare (ad esempio la francese Société Générale francese ha avviato nei confronti del Dipartimento di Giustizia una  controversia giudiziaria di 1,3 miliardi di dollari).
Per quanto riguarda il Clarifying Lawful Overseas Use of Data Act («Cloud Act»), attraverso questo dispositivo giuridico le autorità americane si arrogano il diritto di raccogliere le informazioni detenute dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica in tutto il mondo, fissando esse stesse le condizioni alle quali gli Stati terzi dovranno attenersi affinché i fornitori di servizi americani, avendo ricevuto la richiesta di divulgazione di dati, accettino di depositare una richiesta di annullamento o modifica a vantaggio del Paese straniero insoddisfatto. Ciò che non si dice è che gli effetti del Cloud Act servono ad annullare, due mesi prima della loro entrata in vigore, le disposizioni dell’art. 48 del RGPD relativo al trasferimento o alla divulgazione non autorizzata dalla legge dell’Unione e di raccogliere segretamente i dati personali degli utilizzatori europei così come le informazioni commerciali segrete delle imprese europee.
Giuseppe Gagliano

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