Roma, 13 mag – Manca ormai solo qualche mese all’uscita di scena di Obama, la figura centrale di questi anni tormentati, caratterizzati da crisi economica e tensioni internazionali. Un presidente inevitabilmente “buono” per via del suo colore della pelle, come vuole il pensiero debole dei nostri tempi. Un idolo dei media e delle sinistre radical occidentali, di cui è stato simbolo incontrastato, tanto da meritare un Nobel per la Pace prima ancora di fare un passo in politica estera. Ma basta analizzare le sue mosse nel corso degli anni per capire come Obama abbia in realtà agito in continuità con l’istinto imperiale americano, riuscendo dove altri non erano arrivati grazie anche al pregiudizio favorevole che ha caratterizzato la sua amministrazione.
I conflitti durante la sua presidenza si sono susseguiti senza sosta, mentre l’utilizzo dei droni, i sistemi a pilotaggio remoto con cui condurre attacchi aerei, si è addirittura sestuplicato rispetto al periodo Bush. Gli interventi di cui parliamo sono ben diversi dalle “guerre classiche”. Si tratta di azioni di destabilizzazione, manipolazione dell’opinione pubblica, finanziamento di gruppi eversivi e invio massiccio di contractors, cioè mercenari, attraverso le quali tentare di favorire il regime-change nei paesi di interesse geopolitico. Sul tema gli States hanno una lunga tradizione, di cui le “rivoluzioni colorate” sono la parte più nota.
Come inizio ci sono state le “primavere arabe” (2011), rivolte popolari che, accanto alle sacrosante proteste, hanno nascosto più d’una interferenza occidentale. Seguendo la bandiera propagandistica di libertà e diritti umani gli USA hanno contribuito alla distruzione delle realtà statuali esistenti, spianando la strada al fondamentalismo e gettando nel caos l’intero Nord Africa. La Libia è stata il caso esemplare: appoggiando Inghilterra e Francia, Obama ha detto che uccidere Gheddafi significava stare dalla «parte giusta della storia». Risultato: senza il collante del dittatore il paese è finito nell’inferno delle divisioni tribali, e inoltre l’IS (insieme ad altri gruppi fondamentalisti) imperversa nell’ex colonia italiana, minaccioso più che mai. Senza contare le falle che si sono inevitabilmente aperte nei confini, invasi da masse di disperati, che ora premono alle porte dell’Europa. Di pari gravità la situazione ucraina (2014). Anche qui, le proteste popolari contro l’allora governo di Kiev sono sfociate nella guerra civile, mentre gli USA soffiavano sul fuoco. McCain e una serie impressionante di ONG (con Soros in prima fila) i simboli della pesante ingerenza, per completare l’accerchiamento NATO ai danni della Russia. D’altro canto, Brzezinski ha da sempre descritto questa “terra di mezzo” come il passaggio chiave per minare alla base la forza di Mosca (che rimane uno dei nemici “geopolitici” principali) e per dividere Putin dall’Europa. Intento che in questo caso appare raggiunto, come testimoniano le “inique” sanzioni, che saranno rinnovate con la benedizione della Germania riavvicinatasi a Washington. Nel frattempo il nuovo governo ucraino è nato grazie alle indicazioni a stelle e strisce, come ha testimoniato il nome dell’americana Natalie Jaresco quale ministro delle Finanze, mentre il paese rimane diviso in due.
Ancor peggiore lo scenario siriano, dove gli USA si sono spesi in appoggio ai “ribelli moderati” in funzione anti – Assad. Peccato che dietro questi ribelli si nascondessero il più delle volte gruppi estremisti, foraggiati anche dalle petromonarchie del Golfo e dalla Turchia, tradizionali partners americani, sebbene ben più rigidi in materia religiosa rispetto alla Siria. All’Arabia Saudita, in nome della realpolitik, è stata concessa mano libera in Yemen senza batter ciglio. Gli stessi USA, quando si sono decisi sotto la pressione dell’opinione pubblica, hanno combattuto l’ISIS in maniera blanda per non smuovere troppo le acque (al contrario della Russia). Si è parlato di una strategia ispirata alla “geopolitica del caos”, per impedire l’ascesa di egemonie regionali, come ha più volte sottolineato l’analista Dario Fabbri di Limes. In buona sostanza quindi, l’inferno dell’estremismo islamico che agita l’Europa è in gran parte colpa occidentale e del suo presidente simbolo.
Altri venti di guerra, di tipo commerciale, hanno riguardato l’accelerazione dei trattati Ttp e Ttip, che mirano in primo luogo ad escludere i due grandi rivali (Cina e Russia) da accordi di portata storica per la liberalizzazione dei mercati. Nel caso del Ttip l’Europa diventerebbe definitivamente satellite statunitense, allineandosi agli standard sanitari e sociali a stelle e strisce e spianando la strada al predominio delle multinazionali sulla politica e sugli Stati. D’altronde, il rispetto verso gli europei non è stato una caratteristica dell’amministrazione Obama, come ha testimoniato lo scandalo Datagate riguardante lo spionaggio globale ai danni degli alleati oltreoceano, come l’Italia. Per chiudere, dobbiamo tornare sul nome di Brzezinski, centrale per capire le linee guida dell’amministrazione Obama e la sua continuità con la tradizione interventista democratica dei Wilson, Roosevelt e Clinton. Sin dalla candidatura del 2008 il giornalista Webster Griffin Tarpley denunciò le influenze nascoste dietro l’apparenza, i sorrisi e gli «yes we can» di Barack, tanto da definirlo «burattino di Brezinski» e delle sue spregiudicate teorie realiste. Non a caso, suo figlio Mark figurò tra i primi consiglieri politici del presidente, accanto a una folta schiera di banchieri, uomini dell’era – Clinton e residui neo-cons come Victoria Nuland. Per Tarpley, un personaggio costruito mediaticamente a tavolino, tramite qualcosa di somigliante a una vera e propria “rivoluzione colorata”.
Nel libro Obama the postmodern coup emerge la vera natura del presidente: «Obama si è messo al servizio dell’egemonia statunitense promossa dai finanzieri di Wall Street, agendo tra l’altro come affossatore di quei movimenti di protesta popolare emersi durante il regime di Bush e Cheney. Infatti, grazie a lui, ampie frange del movimento per la pace, del movimento per l’impeachment e del movimento per la verità sull’11 settembre hanno cessato semplicemente di esistere. La capacità di Obama di mobilitare persino la sinistra pacifista per i suoi disegni di aggressione si è vista soprattutto con l’attacco alla Libia, iniziato il 19 marzo 2011, ironicamente l’anniversario dell’aggressione di Bush contro l’Iraq otto anni prima. Gran parte della pseudo-sinistra, pagata dalle fondazioni reazionarie e nell’orbita dell’ala sinistra della CIA, ha agito come claque per questa nuova guerra imperialistica». Le prossime elezioni ci diranno se l’America continuerà a effettuare le sue ingerenze con la scusa dei “diritti umani” o prenderà una strada più isolazionista di cui potrebbero beneficiarne diversi attori, Europa in primis.
Agostino Nasti
1 commento
Il fratello muslim “yes we can”, mi viene in mente quel pirla sionista di veltroni con tutto l’ apparato di botteghe oscure passati da osannare stalin a l’uomo nero “without hesitation” che fa molto progressista