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Ora anche la pedopornografia è arte? L’inquietante caso del quadro di Miriam Cahn

by Valerio Savioli
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dipinto pedopornografico Miriam Cahn

Roma, 25 apr — Chi è Miriam Cahn? Se si cerca il suo nome su internet si scopre che costei sarebbe un’artista e pittrice svizzera e secondo l’enciclopedia politicamente corretta per eccellenza, Wikipedia, “i suoi dipinti e i suoi disegni si concentrano su temi quali il femminismo, incorporando in essi rituali femminili quali il parto o il ciclo mestruale, nonché “violente e scioccanti rappresentazioni degli organi sessuali”; spesso le sue opere vengono create usando metodi non convenzionali”. La Cahn è recentemente balzata all’onore della cronaca per un’esposizione presso il Palais de Tokyo, una galleria d’arte parigina destinata all’arte contemporanea, frequentata anche da scolaresche e minorenni.

L’inquietante quadro di Miriam Cahn

Per rispetto dei lettori, anche in considerazione di quello che stiamo per raccontare, soprassediamo sui dettagli relativi allo stile artistico della Cahn e sulla retrospettiva parigina denominata Ma pensée seriélle, Il mio pensiero seriale, per concentrarci esclusivamente sul disturbante dipinto intitolato Fuck Abstraction! Il dipinto in oggetto, in esposizione al pubblico dal 17 febbraio, raffigura una sagoma maschile possente e muscolosa ritta completamente nuda, mentre ai suoi piedi stanno due figure infantili che, inginocchiate e coi polsi legati, sembrano indotti, forzatamente, a praticare a turno una fellatio al soggetto maschile collocato palesemente in una posizione dominante.

Ora, giunti a questo punto e convinti della profonda sensazione di disgusto avvertita dal lettore, si potrebbe pensare che la permanenza dell’opera presso la radical-sciccosa galleria parigina sia durata il tempo di un batter d’occhio, ma purtroppo non è andata così.

Polemiche politiche. Interviene un giudice

A seguito delle polemiche divampate in Francia, Caroline Parmentier, deputata del Rassemblement National, ha posto un’interrogazione parlamentare al ministro della cultura transalpina Rima Abdul Malak sostenendo che l’opera pubblicamente esposta della Cahn sia palesemente pedopornografica e che quindi dovrebbe essere immediatamente rimossa: “Questo dipinto rappresenta un bambino, in ginocchio, legato con le mani dietro la schiena, costretto a fare sesso orale da un adulto. Nulla giustifica l’esposizione di un’opera del genere, nemmeno il pretesto di denunciare crimini di guerra”. Come da copione ormai consolidato, l’apparato mediatico progressista ha immediatamente spolverato l’etichetta dell’estrema destra retriva e bigotta.

Ma quali “crimini di guerra”

Crimini di guerra? E cosa c’entrano direte voi! Nel dipinto che letteralmente manda a quel paese l’astrazione (Fuck abstraction!) non compaiono né divise, né scenari riconducibilia a qualsivoglia tipologia di conflitto: come già accennato c’è solo la raffigurazione di un atto sessuale imposto con la forza, visti i polsi legati, su infanti inginocchiati. Non è così secondo la cosiddetta artista, perché a suo avviso la guerra centrerebbe pienamente, come riportato dal sito The Collector: “[La Cahn] ha detto che non c’è nessun bambino nel dipinto, ma che la vittima è mostrata in piccole dimensioni per ragioni simboliche. “Il contrasto tra i due corpi mostra la potenza corporea dell’oppressore, e la fragilità dell’oppresso, in ginocchio ed emaciato dalla guerra”.

La polemica ha continuato ad imperversare: da una parte coloro che si battevano per la rimozione di un’opera accusata di veicolare liberamente un messaggio disturbante e dall’altra chi si schierava a difesa della libertà dell’arte e del messaggio metaforico del dipinto, difendendo la Cahn che, a dir loro, tramite la sua arte si era già spesa contro la guerra in altre occasioni.

Il ministro Rima Abdul Malak ha tenuto a sottolineare che il museo avrebbe avuto cura di affiggere dei messaggi di avvertimento al pubblico (i famosi trigger warning) all’ingresso della mostra, segnalando che alcune opere “rischiano di urtare la sensibilità del pubblico”, precisando che “il dipinto è stato realizzato durante la guerra in Ucraina e dopo che sono state trasmesse le immagini della fossa comune di Bucha e le immagini di numerosi stupri su donne e uomini”. Parole che, a quanto pare, non sono state sufficienti a placare gli animi, gli scontri sui social e le raccolte di migliaia di firme, come quelle di Juristes pour l’enfance, tanto che a marzo il museo si è trovato costretto a precisare che “non si tratta di bambini” e aggiungere, in difesa della Cahn: “questo quadro tratta del modo in cui la sessualità viene usata come arma di guerra, come crimine contro l’umanità”.

A mettere la parola fine alla querelle è arrivato il verdetto del giudice Sylive Vidal che si è pronunciata in difesa della Cahn sostenendo che la sua opera non si potrebbe comprendere decontestualizzandola dagli orrori della guerra.

Quale limite?

“Sì, l’arte può scioccare, può interrogare, può talvolta suscitare disagio, persino disgusto. L’arte non è consensuale. E la libertà di espressione e di creazione è garantita dalla legge. Qualificare un reato. Questo è il ruolo della giustizia.” Rispetto alle parole del ministro della Cultura francese che ricordano tanto le recenti prese di posizione, da parte delle forze liberal-progressiste, in difesa del murales comparso a Rimini raffigurante un uomo panciuto e barbuto intento ad allattare un bambino e poi sbianchettato da ignoti sulle tracce dei quali, in un comune sempre sul podio nazionale della criminalità, sembra ci sia addirittura la Digos.

E allora giù coi soliti slogan: l’arte come provocazione, l’arte come libertà di espressione, parola e manifestazione. Di fronte a questo vuoto famelico ci sovvengono le considerazioni di Stefano Zecchi il quale ricorda che l’arte, alla stregua della tecnica, in origine costituiva una forma di conoscenza che testimoniava il sentimento del sacro e l’alleanza della creatività umana con quella della Natura. Tempi andati ma che, per orientarsi in un mondo dedicato al costante ripudio di realtà e bellezza, non devono e non possono essere dimenticati.

Rispetto ai pretestuosi concetti innalzati a difesa della Cahn è evidentemente opaco il confine che intercorre tra arte e propaganda ma anche, e per opposto, chiara l’ambivalenza di un limite la cui elasticità si estende, si restringe e si sposta in base alla forza di un potere dominante e del suo portato culturale e ideologico, un vero e proprio nuovo moralismo, alla cui visione del mondo pare non opporsi altro che la flebile, sibillina e ambigua posizione moderata e liberale, la quale essendo ontologicamente allergica rispetto alla invalicabilità dell’etica, come si è visto nel caso della cancellazione del murales di Rimini, prima ancora di proferire le solite sterili prese di posizione, si è addirittura premurata di essere contraria alla cancel culture, come se il nesso con l’odioso fenomeno d’Oltreoceano si trovasse nella liquidità della vernice e non in chi la sparge, la getta o la utilizza per oscenità travestite da opere d’arte.

Leggi anche: Bimbi e orsetti di pelouche sadomaso: Balenciaga “ci prova” ma deve ritirare la campagna

Valerio Savioli

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4 comments

Germano 25 Aprile 2023 - 4:52

Figlia di Herbert Adolf Cahn, archeologo tedesco di origine ebrea…ah !!! MI sembrava che come ebrea si poteva permettere questo e tanto più, non scappa uno a questa grande e mondiale setta di pedofili

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Fulvio Colleoni 25 Aprile 2023 - 7:02

CHIEDO PER UN AMICO, PER CASO è DI ORIGINE EBRAICA?

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Germano 25 Aprile 2023 - 8:46

Ma certo ! Che altro viene chiamato “artista” se non appartiene alla setta dei pedofili ?

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Jjj 25 Aprile 2023 - 9:22

Bastarda.

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