Budapest, 18 ott – La «democrazia illiberale» di Viktor Orban sferra un altro colpo al pensiero progressista. Lo scorso sabato il primo ministro ungherese ha firmato un decreto che di fatto bandisce l’insegnamento dei cosiddetti gender studies (ovvero gli studi su femminismo e Lgbt) dalle università del Paese. Il provvedimento ha escluso la materia dalla lista dei corsi universitari che godono di finanziamenti pubblici. Il decreto avrà effetto immediato, ma gli studenti che si trovano a metà del percorso disciplinare saranno liberi di completarlo.
«Questa ingerenza governativa è un gravissimo attacco alla libertà di insegnamento e all’autonomia universitaria», ha tuonato l’Università centrale europea di Budapest (Ceu), una delle due istituzioni universitarie fondate, guarda caso, dal magnate George Soros, nelle quali per l’appunto si insegnano gli studi di genere. Con questo colpo di mano Orban silenzia quindi le due roccaforti formative del pensiero unico Lgbt in Ungheria. Da tutto il mondo progressista si è prontamente alzata l’immancabile protesta contro il provvedimento. «L’eliminazione di questo programma di studi rappresenterà una perdita significativa per la comunità studentesca ungherese e per la democrazia in generale», ha proseguito la Ceu.
«Siamo convinti che le persone nascano uomini e donne», ha spiegato Gergely Gulyas, capogruppo in parlamento del Fidesz, il partito di Orban. «Ognuno nella vita si comporta come preferisce e a sua discrezione, ma al di là di ciò lo Stato ungherese non intende spendere i fondi pubblici per l’istruzione in questo ambito». «La richiesta di mercato di laureati in gender studies è prossima allo zero, nessuno vuole assumere un esperto in gender perché non ha applicazioni in nessun ambito lavorativo». Tranne forse nei fast food e nelle imprese di pulizie.
Cristina Gauri

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Classe 1977, nata nella città dei Mille e cresciuta ai piedi della Val Brembana, dell’identità orobica ha preso il meglio e il peggio. Ex musicista elettronica, ha passato metà della sua vita a fare cazzate negli ambienti malsani delle sottoculture, vera scuola di vita da cui è uscita con la consapevolezza che guarire dall’egemonia culturale della sinistra, soprattutto in ambito giovanile, è un dovere morale, e non cessa mai di ricordarlo quando scrive. Ha fatto uscire due dischi cacofonici e prima di diventare giornalista pubblicista è stata social media manager in tempi assai «pionieri» per un noto quotidiano sabaudo. Scrive di tutto quello che la fa arrabbiare, compresi i tic e le idiozie della sua stessa area politica.

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