Budapest, 18 mar – Viktor Orban ha deciso di rispondere alle provocazioni del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. “È una politica sicuramente non intelligente porre la nostra sicurezza nelle mani dei Turchi e allo stesso tempo criticarli per non essere abbastanza democratici”, ha spiegato il primo ministro ungherese ha spiegato, criticando le recenti scelte Ue. Il premier magiaro ha, inoltre, annunciato che “entro la fine di maggio” sarà costruita una seconda recinzione al confine fra l’Ungheria e la Serbia. Molti illustri commentatori nei giorni scorsi si erano scagliati contro questa scelta. Nessuno di essi, però, ha spiegato come fermare la prossima ondata migratoria che si potrebbe abbattere sull’Europa. La Turchia, probabilmente, userà i profughi come un’arma contro le nazioni europee. Oggi, infatti, si sta giocando un pietoso teatrino tra Ankara e Bruxelles. Si tratta di una sceneggiata che mira a rafforzare entrambi i contendenti. Vediamo perché.
L’Ue teme la cosiddetta ondata populista e così si scaglia contro l’autoritarismo del Nuovo Sultano. Una scelta che ha già dato i suoi frutti in Olanda. I centristi, per fermare Wilders, hanno usato gli stessi argomenti del populista olandese. E ci sono riusciti, almeno in parte. Così, mentre Bruxelles dimostra la sua intransigenza in tema di diritti civili, Erdogan, dal canto suo, si erge come padre della Patria, e difensore dell’Islam. Non c’è che dire, proprio una bella commedia. Si può facilmente prevedere che vedremo lo stesso copione per le elezioni in Francia e in Germania. Il punto, però, è un altro: che ne sarà dei migranti che la Turchia custodisce nei campi profughi? Probabilmente, dovremo preparaci ad accoglierli. Stavolta, infatti, non solo scappano dalla guerra ma pure dal “nuovo tiranno”.
Ed è per questo che Orban non vuole farsi trovare impreparato. Il presidente del Consiglio ungherese non è nuovo a scelte di questo tipo. Pochi ricorderanno che, nel dicembre 2015, il premier magiaro si scagliò contro l’accordo tra Angela Merkel e Erdogan. Viktor Orban fu bollato da tutta la stampa europea come un visionario. Purtroppo, però, aveva ragione. A marzo 2016 la Merkel convincerà gli altri partner dell’Unione Europea a sottoscrivere un accordo capestro con la Turchia. Erdogan poteva mandarci decine di migliaia di risorse in cambio di tre miliardi di euro annui. Proprio un bell’affare!
Questo patto prevedeva tra le altre cose il cosiddetto sistema delle quote, ossia la redistribuzione di centosessantamila rifugiati nei ventinove paesi membri e secondo cui l’Ungheria avrebbe dovuto accogliere appena. Viktor Orban, al contrario dei suoi colleghi, si oppose fermamente. Il suo diniego, a distanza di un anno, dimostra la sua lungimiranza. Pochi mesi fa Matteo Renzi minacciava Budapest: “L’Italia è pronta a mettere il veto sul bilancio europeo, se Paesi come l’Ungheria non accoglierà i migranti come previsto dagli accordi Ue”. Ma, se la Commissione europea avesse fatto scattare l’obbligo delle quote, l’Ungheria avrebbe portato la questione davanti alla Corte di Giustizia europea. L’ostinazione magiara ha pagato.
Per questo, oggi mentre le capitali europee si sentono ostaggio dei capricci del Sultano, a Budapest si respira un’aria diversa.
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