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Perché la Cina vara una stretta sugli aborti non terapeutici

by Eugenio Palazzini
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Cina aborti, politica

Roma, 27 set – Se a San Marino l’interruzione volontaria di gravidanza è ora legale, la Cina al contrario ha deciso di varare una stretta sugli aborti consentiti dalle legge. Il governo di Pechino ha infatti emanato nuove linee guide volte a limitare il numero di aborti per “scopi non medici”. Non si tratta di una clamorosa novità perché il dragone asiatico ha da tempo adottato misure particolarmente rigide per prevenire gli aborti selettivi in base al sesso, con le autorità sanitarie che già nel 2018 diedero particolari indicazioni al riguardo: “L’uso dell’aborto per porre fine alle gravidanze indesiderate era dannoso per il corpo delle donne e rischia di causare infertilità”.

Adesso però il Consiglio di Stato cinese sostiene che queste nuove linee guida “mirano a migliorare l’accesso generale delle donne ai servizi sanitari pre-gravidanza”. Stando ai dati diffusi dal governo, in Cina sono stati eseguiti 336 milioni di aborti tra il 1971 e il 2013 e tuttora ad essere piuttosto diffusi sono soprattutto quelli selettivi.

Perché la Cina pone un freno agli aborti

Con il freno agli aborti il governo di Pechino intende affrontare il calo del tasso di natalità nazionale. Se fino a sei anni fa la cosiddetta “politica del figlio unico” puntava proprio a contenere l’aumento esponenziale della popolazione, dal 2015 la Cina ha deciso di cambiare passo con il sì ai due figli per coppia. E ancora da giugno scorso l’ulteriore svolta: tre figli consentiti. D’altra parte analisti e demografi individuano da tempo nel tasso di natalità una delle principali sfide sociali.

Va insomma invertita la preoccupante tendenza attuale, anche nella nazione più popolosa del mondo. Perché se la Cina conserva ancora questo primato, le prospettive non sono affatto rosee. Difatti in appena quattro anni il tasso di fertilità per donna è passato da 1,6 nati nel 2016 a 1,3 nel 2020. Ma non è tutto, perché come ben spiegato da Giorgio Cuscito su Limes, “nel 2025, il 14% degli abitanti della Repubblica Popolare (cioè 300 milioni di persone) potrebbe avere più di 65 anni”.

Questo significa che “nel lungo periodo, la combinazione di questi dati può determinare una diminuzione della forza lavoro, un aumento delle spese legate all’assistenza sociale (che ricadrebbe sulle fasce più giovani della popolazione) e un’inferiore predisposizione ad accettare situazioni di crisi, inclusa la guerra”. Di qui la decisione di Pechino di correre ai ripari anche con i limiti posti agli aborti.

Eugenio Palazzini

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