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Pescatori italiani detenuti in Libia da 60 giorni. Vanno riportati a casa, subito

by Eugenio Palazzini
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pescatori, Libia

Roma, 2 nov – Sessanta lunghi giorni avvolti da un assordante silenzio. Dal primo settembre 18 marittimi di Mazara del Vallo sono detenuti in Libia, in una caserma di Bengasi. Sequestrati dai militari al soldo del generale Khalifa Haftar, che controlla la Cirenaica, sono ancora reclusi senza che il governo italiano sia riuscito a riportarli a casa. Trascorsi due mesi dunque, con i familiari dei pescatori in presidio permanente davanti a Montecitorio che hanno ricevuto soltanto vuote rassicurazioni da parte del ministro degli Esteri, quel Luigi Di Maio ritrovatosi a guidare un dicastero senza alcuna competenza e che ha mostrato una sconcertante assenza di polso. Abbiamo abdicato al nostro ruolo, storicamente di primo piano, nel Mediterraneo. E ci ritroviamo a doverci appellare ad Emirati Arabi, Russia, Turchia, Egitto.

Silenzio inaccettabile

Così l’assordante silenzio si è trasformato ben presto in una situazione ansiogena per amici e parenti dei pescatori, un’angoscia sempre più crescente man mano che il tempo passa. Ma se il lassismo dell’esecutivo giallofucsia è ormai tristemente noto, è in generale la politica italiana che si mostra assopita e incapace anche soltanto di pungolare il ministero degli Esteri. Il dibattitto attuale è tutto incentrato sul coronavirus e questo finisce automaticamente per distrarre da tutto il resto. Non è una giustificazione, tutt’altro, è un drammatico teatrino monotematico costellato dalle maschere imbarazzanti di attori improvvisati, che oscurano l’essenziale, che tacciono colpevolmente di fronte alla necessità. Perché non è in gioco soltanto il destino di questi pescatori italiani, cosa che già di per sé dovrebbe essere sufficiente a scuotere la classe politica da un torpore avvilente. E’ in gioco il volto dell’Italia, mai così calpesto e deriso.

“Conte ci ha ricevuto solo il 29 settembre”

Il battibecco obnubilante finisce allora per suscitare la sacrosanta reazione di una mamma 74enne che attende, con lucida compostezza, la liberazione del proprio figlio. “Loro si combattono e mio figlio è da 60 giorni in carcere senza capire perché. Come non lo capisco io che un figlio di 24 anni ho perso in mare per una tempesta e che adesso, vedova, aspetto solo il ritorno dell’altro”, ha detto al Corriere della Sera Rosetta Ingargiola, madre di Pietro Marrone, comandante del Medinea. Amici e parenti dei pescatori italiani non riescono a capacitarsi di questo immobilismo governativo. “Il premier ci ha ricevuti solo il 29 settembre in fretta assicurando il possibile. Si parla di ‘Servizi’ all’opera. Ma nulla accade”, “Qui ogni tanto passa un deputato, poi niente”. E ancora: “La cosa peggiore è sentir dire che possano diventare merce di scambio per barattarli con quattro libici detenuti in Italia”. Due mesi di chiacchiere, due mesi di nulla, due mesi di disperazione crescente. E’ l’ora di piantarla con questo indecente silenzio e di ricordarci che una milizia libica non può permettersi di tenere in scacco l’Italia. Riportare a casa i pescatori italiani, adesso, costi quel che costi.

Eugenio Palazzini

 

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