Roma, 7 mag – Nel Messico ostaggio del coronavirus sono i figli di El Chapo a fare le veci dello Stato, sostituendosi alle forze dell’ordine e minacciando con la violenza chi vìola le misure di distanziamento sociale. Gli ordini arrivano da El Chapo stesso, che pur rinchiuso nel penitenziario di massima sicurezza Adx di Florence, attraverso la propria discendenza – i figli Ivan Archivaldo Guzman e Jesus Alfredo Guzman – continua a gestire l’ordine pubblico a Sinaloa tramite l’imposizione del coprifuoco e distribuendo aiuti alla famiglie sul lastrico a causa della pandemia.
Sequestri e torture
«Dopo le 10 di sera, tutti devono stare nelle loro case a causa del coronavirus, altrimenti saranno puniti, questi sono ordini dall’alto (da Los Chapitos). Non stiamo giocando», ha spiegato un membro dei Sinaloa in un video condiviso online. E in un altro filmato avvertono la popolazione che «chi viene scoperto a circolare durante il coprifuoco se non è un lavoratore essenziale verra’ ‘trattenuto’ per due giorni e dovrà pagare una multa».
Guzman si trova dal 17 luglio si trova nella struttura di massima sicurezza di Florence, Colorado, dal 17 luglio dell’anno scorso, in compagnia dell’attentatore dell’11 settembre Zacarias Moussaoui, quello di Oklahoma City Terry Nichols, quello della maratona di Boston Dzhokar Tsarnaev, e l’Unabomber Ted Kaczynski. «El Chapo non comanda più in Messico», aveva dichiarato solennemente il nuovo presidente Lopez Obrador. Ma la realtà delle ultime settimane sembra smentire questa tesi.
Bastone e carota
Dopo l’arresto di El Chapo, il cartello di Sinaloa era passato alla guida del luogotenente Ismael «El Mayo» García. Dietro il quale si posizionano Iván Archivaldo Guzmán e Jesús Alfredo Guzmán, meglio noti come «Los Chapitos», i figli del Chapo. Poi è arrivato il coronavirus. E il cartello ha approfittato delle sacche di vuoti normativi e dell’assenza di aiuti capillari alla popolazione per incistarsi ancora più a fondo nel tessuto sociale della regione. Chi viene sorpreso a bighellonare in strada viene sequestrato per due giorni e sottoposto a torture e viene costretto al pagamento di una multa. Per chi sceglie di non adeguarsi alle misure imposte dai Chapitos può finire molto, molto peggio.
Un fenomeno che dovrebbe far riflettere anche le istituzioni del Belpaese: con la crisi economica derivata da due mesi di chiusura, la malavita organizzata non aspetta altro che potersi incistare nelle lacune lasciate dallo Stato. Infatti, oltre alle misure repressive, i «ragazzi» di Sinaloa hanno messo sul banco anche aiuti alle famiglie indigenti. E qui entra in gioco Alejandrina Gisselle Guzman, la figlia di El Chapo, che batte a tappeto per Guadalajara e altre città distribuendo scatole di cartone con la faccia del padre stampata sopra: contengono cibo, mascherine e disinfettanti.
Cristina Gauri