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Siria, dai ribelli strage di civili. Intanto i negoziati premiano Assad

by Emmanuel Raffaele
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siriaGli Usa che dialogano con l’Iran senza dar retta alle obiezioni del premier Netanyahu e che percorrono la via negoziale in Siria cedendo alla Russia rappresentano una doppia disfatta diplomatica per Israele che, con tutta evidenza, avrebbe preferito l’intervento americano. Ma una situazione più complessa di quanto appaia ha infine suggerito diversamente ed il perché è presto detto.

«L’Europa oggi è indipendente dalle politiche americane?», si chiedeva il presidente siriano Assad in un’intervista esclusiva con la giornalista italiana Monica Maggioni. «Ho sentito – aggiungeva – da molti funzionari europei che sono convinti di quello che stiamo dicendo ma non possono dirlo apertamente».

Ed anche quando tg e stampa dipingono l’idillio, è evidente che, sommato al ruolo di primo piano della Russia nella vicenda, anche il malumore europeo nei confronti di un eventuale altro conflitto ha pesato sulla scelta finale, che si è rivelata vincente.

«Il segretario di Stato degli Usa John Kerry  –  scrive il “Jerusalem Post” – ha esaltato l’avvio della distruzione delle armi chimiche in Siria definendolo un “buon inizio”», dando (“insolitamente”, scrive sempre il quotidiano) fiducia al governo di Damasco.

Tant’è che Susan Ahmad dell’opposizione siriana ha parlato di un “passo indietro, anziché in avanti”: «si tratta solo di dare ad Assad il tempo di uccidere più persone».

Nel frattempo, però, proprio i ribelli a balzano agli onori delle cronache per gli episodi poco edificanti: dai capi che mangiano in diretta video il cuore di soldati dell’esercito fino al sospetto uso di armi chimiche e false flag, per arrivare al documento choc dell’ong Human Rights Watch, il quale prova una delle stragi compiute dai ribelli che per il momento prova l’uccisione di almeno duecento civili disarmati, tra cui tantissimi tra donne, bambini ed anziani, ed il rapimento di altrettante persone.

«Gli schizzi di sangue sulle pareti – scrive il “Corriere” – si alternano ai buchi lasciati dai proiettili. Nei villaggi, rimasti semi deserti, le case sono distrutte, sventrate, alcune bruciate. Sui pavimenti restano i segni delle vite interrotte con violenza il 4 agosto 2013; nei cortili i cumuli di terra sotto cui sono stati sepolti i civili ammazzati. Siamo in Siria, provincia di Latakia. A compiere la strage sono stati i ribelli, venti gruppi diversi».

All’origine dell’eccidio, una sola colpa: abitare villaggi filo-governativi.

Bashar Al Assad, del resto, nell’intervista con la Maggioni, l’ha detto con chiarezza: non chiamiamola opposizione, «se sono armati sono soltanto terroristi».

Mentre già in un’intervista per il quotidiano “Al-Thawra”, diffusa da Syrian Arab News Agency mesi fa, aveva spiegato: «La Siria fin dal 1985 ha ripetutamente chiesto una chiara definizione di terrorismo e ribadito la necessità di formare un’alleanza internazionale contro di esso. Ma tutto ciò non è stato preso sul serio dal momento che il terrorismo non aveva ancora colpito all’interno dei loro confini».

Frasi sempre nette e pragmatiche, al pari di quelle sull’ipotizzato uso delle armi chimiche: «Logisticamente e realisticamente quando si avanza non si usano armi chimiche: l’esercito stava avanzando, perché utilizzarle?!». «Non sono state utilizzate per due anni e mezzo – ha evidenziato – quando c’erano molte situazioni difficili in diverse aree della Siria e un numero alto di terroristi, più che a Damasco, perché non le abbiamo utilizzate?! Perché solo in quel posto?!». «Abbiamo invitato in Siria – ha infine ricordato – la delegazione responsabile dell’indagine sull’uso delle armi chimiche prima di quell’incidente e il giorno in cui sono arrivate, il secondo giorno, l’esercito siriano avrebbe utilizzato armi chimiche: è plausibile?! Non si può credere a questa storia!».

Nel frattempo, oltre alle stragi ed alla barbarie, i ribelli siriani hanno segnato anche un’altra sconfitta: quella del fondamentalismo islamico, che finora ha fatto il gioco di Israele alzando la tensione e facendo da capro espiatorio per i vari interventi “preventivi”. Ma, questa volta, accusare il regime di Assad di collusioni col terrorismo, considerando che i suoi più acerrimi nemici sono esattamente i fondamentalisti islamici, sarebbe stato troppo. E così si è cercato di nascondere l’evidenza finché si è potuto, parlando di ribelli e non di terroristi islamici.

Ma quando i fatti hanno reso il tutto troppo evidente, dopo il sostegno economico e logistico, schierarsi addirittura fianco a fianco coi terroristi in un intervento armato non è stato più possibile.

Ben tredici, infatti, i gruppi che hanno dato vita ad un vero e proprio fronte islamista, in opposizione alla leadership della Coalizione Nazionale Siriana; una spaccatura segnata da scontri fratricidi ed avvenuta proprio nel momento cruciale, favorendo senza dubbio i negoziati e segnando la vittoria diplomatica della Russia e la ri-legittimazione di Assad.

«La nostra Costituzione e le nostre leggi – ha spiegato il presidente – vietano i partiti politici fondati sulla base di un’ideologia religiosa», ma non si tratta di «un atteggiamento avverso alla religione; al contrario, noi sosteniamo la religione. Religione in quanto vocazione, alta vocazione di insegnare la parola di Dio e che dovrebbe essere elevata a un livello più alto del governare la vita quotidiana delle persone», per questo «la religione non deve essere ridotta ad un partito politico».

Un leader estremamente lucido che dà un grande insegnamento all’Occidente non solo per la franchezza con il quale ha spiegato le ragioni della sua permanenza al potere («non si abbandono il proprio posto e non si lascia il paese nel bel mezzo della tempesta»), ma anche perché chiarisce una volta per tutte l’unico Islam con il quale è possibile cercare il dialogo: quello laico, sociale e nazionale.

Emmanuel Raffaele

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